Delicatezza social

Per limitare gli eccessi dei “leoni da tastiera” ecco la proposta di rendere obbligatoria la presentazione di un documento di identità per registrarsi su una piattaforma social

Ci sono tre notizie che negli ultimi giorni di agosto hanno animato il dibattito attorno al mondo dei nuovi media e hanno, giustamente, aperto un dibattito che in certi casi si è poi trasformato in uno scontro non solo tra le diverse posizioni, ma addirittura tra gli Stati. A dimostrazione che legata a queste dinamiche non c’è solo una partita di tipo economico-finanziario, ma si va a discutere di valori quali libertà e democrazia.

La prima notizia riguarda l’arresto in Francia di Pavel Durov, il fondatore russo di Telegram, nell’ambito di un’indagine su reati legati alla pornografia infantile, al traffico di droga e alle transazioni fraudolente mediante la piattaforma.

Telegram è una app di messaggistica (come WhatsApp) conosciuta e apprezzata in tutto il mondo per essere soprattutto a massima garanzia di riservatezza. Ciò vale per le attività criminali, come imputa la magistratura francese e come sanno bene le polizie di mezzo mondo. Ma vale anche per tutti quei movimenti che, nelle società controllate da regimi totalitari, proprio grazie a Telegram possono diffondere comunicazione e tenere rapporti tra i vari aderenti. Il controllo di Telegram per scopi di polizia negli Stati democratici, dicono i difensori di questa applicazione, metterebbe a rischio anche i movimenti di chi si batte per la libertà e i diritti umani negli Stati dittatoriali.

La seconda notizia riguarda Twitter, uno dei social più diffusi e maggiormente utilizzati per la condivisione a livello planetario delle notizie. Twitter ora si chiama X, il nome scelto da Elon Musk che ha speso 50 miliardi di dollari per diventarne proprietario unico. Musk non è solo l’uomo più ricco del mondo, non è solo uno dei principali imprenditori nel settore delle macchine elettriche (Tesla), monopolista del sistema internet satellitare, titolare dell’azienda che produce i razzi per i viaggi nello spazio e per i missili militari. Musk è anche un grande sostenitore di Trump, che gli ha promesso il posto di ministro, è un militante che sulla propria piattaforma entra ormai quotidianamente a gamba tesa nei confronti di Kamala Harris.

L’ex Twitter, ora X, è insomma diventato strumento di propaganda che pone molte domande sul ruolo di questo imprevedibile monopolista. Al punto che il Brasile ha deciso di bloccarne l’utilizzo: la Corte Suprema ha chiesto a Musk di nominare un rappresentante legale in Brasile. Cosa che ovviamente non è avvenuta. Altri Paesi potrebbero seguire questa strada.

La terza notizia riguarda, infine, la società “OpenAI”, titolare di ChatGpt e tra le protagoniste dell’evoluzione dell’Intelligenza artificiale. Nata come società no profit («Principale beneficiario del consiglio è l’umanità, non gli investitori di OpenAI»), la società si sta trasformando in società profit, si avvicina ad una valutazione di 100 miliardi di dollari e punta alla compartecipazione di Apple e Nvidia (due tra le società più capitalizzate al mondo) dopo aver già aperto alla presenza di Microsoft.

A conferma del fatto che l’intero comparto dell’intelligenza artificiale sia sviluppato e controllato da poche (e potenti) realtà multinazionali, così forti da non dover rispondere a nessuno.

Tre notizie sulle quali ci sarà sicuramente occasione di tornare.

Ma agosto ci ha regalato anche una proposta che il Corriere della Sera ha pubblicato nelle pagine interne, ad una sola colonna. Tutto nasce da un post che Paola Di Caro, giornalista di punta del quotidiano, ha pubblicato su Twitter ricordando l’ultimo messaggio (“sono sul ponte, sto tornando”) ricevuto da Francesco, figlio diciottenne, prima di essere investito e ucciso sul marciapiedi da un’automobile. Da quel momento, due anni fa, lei e suo marito (Luca Valdiserri, anche lui giornalista del Corriere) sono impegnati in progetti per la sicurezza stradale. Sotto il post con l’ultimo messaggio del figlio, Paola Di Caro ha scritto semplicemente: «La frase più bella del mondo è “sono sul ponte, sto arrivando”». Racconta il Corriere: “Un tale, dall’account @ParliamoDiTv, ha chiesto: «È morto?». Paola prima ha risposto: «Sì». Poi, in un altro tweet, ha aggiunto: «E forse si può chiedere con più delicatezza». Il nostro gran cerimoniere della televisione ha replicato: «Forse si può essere più chiari. La delicatezza non appartiene ai social»; «Se non ti piacciono le risposte cancellati dai social»; «Impara a scrivere in italiano, non è fatica sprecata». Queste battute non ci dicono nulla sull’età, sul sesso e sulla professione di chi le ha scritte, ma molto raccontano della sua sensibilità”. Da qui la proposta: “Forse non si può pretendere l’empatia e la gentilezza da chi sta sui social network, ma almeno le generalità sì. È incredibile che sulle soglie del 2025 non sia obbligatorio presentare un documento di identità per iscriversi a una piattaforma “. Già, perché sui social non è obbligatorio registrarsi con un documento, si possono usare nomi falsi (anche se è vietato utilizzare nomi di altri), si possono usare “nickname”, riferimenti stravaganti ai quali quasi mai corrispondono delle generalità. Dietro all’anonimato, taluni riescono a dare il peggio di sé, trasformando i commenti sui social in una orribile bacheca delle offese. Forse, davvero, basterebbe semplicemente un documento: per obbligare ciascuno a riflettere prima di scrivere, per obbligare a connettere la tastiera al cervello e non solo ai social.

Per evitare che la parola “delicatezza” venga giudicata estranea al nostro modo di pensare.

 

(59 – continua)

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