Non è un caso che Francesco, primo papa gesuita, dedichi una lettera enciclica (Dilexit nos) a spiegare il Sacro Cuore di Gesù. Fu proprio la Compagnia di Gesù, ai tempi della Riforma cattolica (e della Controriforma) a diffondere questa particolare devozione con un intento formativo e pastorale, teso a ricondurre le comunità al messaggio centrale della fede cristiana. Fu proprio a seguito dell’azione missionaria dei gesuiti nella Terra tra i monti che nel 1796, quando si trattava di aggrapparsi a un’ultima speranza di difesa del territorio dall’avanzata delle truppe francesi, le rappresentanze della popolazione e dei ceti decisero di consacrare il Tirolo al Cuore di Gesù. Da allora i fuochi di San Giovanni, legati ad antiche tradizioni che celebravano l’inizio dell’estate, sono diventati i fuochi del Sacro Cuore.
“Agli occhi del Papa – ha precisato il vescovo di Innsbruck, Hermann Glettler – la devozione al Sacro Cuore ha un grande potenziale perché conduce al centro della fede cristiana, a un legame personale con Cristo e, allo stesso tempo, a un impegno sentito nei confronti dei tanti bisogni del nostro tempo”. Il testo, prosegue il vescovo, ha il potere di superare il kitsch devozionale e le incrostazioni di una devozione al Sacro Cuore puramente folkloristica. L’intento del Papa è di far capire che “prendere sul serio il cuore ha conseguenze sociali”. E che “solo a partire dal cuore le nostre comunità riusciranno a unire le diverse intelligenze e volontà e a pacificarle affinché lo Spirito ci guidi come rete di fratelli, perché anche la pacificazione è compito del cuore”.
Chi conosce la storia altoatesina sa che il Sacro Cuore, proprio a partire dal voto del 1796, nel vecchio Tirolo non è riconducibile a un’esperienza di devozione popolare o di spiritualità. Ha un peso nelle relazioni politiche. Anziché fautore di incontro che rende “capaci di relazionarci in modo sano e felice e di costruire in questo mondo il Regno d’amore e di giustizia”, è stato un compagno di battaglia, una bandiera, un’arma impropria. Tutti ricordano la “Notte dei fuochi” del giugno 1961.
Papa Francesco, nella sua lettera, dedica un breve capitolo anche al “fuoco”, ma solo per ricordare che “san Bonaventura diceva che a ben vedere si deve interrogare «non la luce, ma il fuoco»”, e che “lì dove il filosofo si ferma col suo pensiero, il cuore credente ama, adora, chiede perdono e si offre di servire nel luogo che il Signore gli dà da scegliere per seguirlo”.
Rispetto ai rapporti tra Sacro Cuore e politica, nessuno spazio ad equivoci: “Abbiamo bisogno che tutte le azioni siano poste sotto il ‘dominio politico’ del cuore, che l’aggressività e i desideri ossessivi trovino pace nel bene maggiore che il cuore offre loro e nella forza che ha contro i mali; che anche l’intelligenza e la volontà si mettano al suo servizio, sentendo e gustando le verità piuttosto che volerle dominare come fanno spesso alcune scienze; che la volontà desideri il bene maggiore che il cuore conosce, e che anche l’immaginazione e i sentimenti si lascino moderare dal battito del cuore”. Il “dominio politico” del cuore, commenta il vescovo Glettler, serve “per rafforzare un plus di attenzione, empatia e solidarietà in un mondo sempre più dominato dal narcisismo e dall’egocentrismo”.
Dare un cuore a questa terra, chiede il Papa. “Ne ha bisogno anche la Chiesa, per non sostituire l’amore di Cristo con strutture caduche, ossessioni di altri tempi, adorazione della propria mentalità, fanatismi di ogni genere che finiscono per prendere il posto dell’amore gratuito di Dio che libera, vivifica, fa gioire il cuore e nutre le comunità. Dalla ferita del costato di Cristo continua a sgorgare quel fiume che non si esaurisce mai, che non passa, che si offre sempre di nuovo a chi vuole amare. Solo il suo amore renderà possibile una nuova umanità”. Dilexit nos è complementare alle “encicliche sociali”. “Ciò che questo documento esprime ci permette di scoprire che quanto è scritto nelle encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti non è estraneo al nostro incontro con l’amore di Gesù Cristo, perché, abbeverandoci a questo amore, diventiamo capaci di tessere legami fraterni, di riconoscere la dignità di ogni essere umano e di prenderci cura insieme della nostra casa comune”.
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