Da Delpero e Amelio due vibranti affreschi sulla guerra

Maura Delpero a Venezia con “Vermiglio”

La guerra c’è, ma non si vede. Però, le ricadute sugli uomini, civili e militari, le donne e i bambini, sono evidenti, tra ristrettezze e dolori. È il tratto che accomuna Vermiglio della bolzanina Maura Delpero (nelle sale dal 19 settembre) e “Campo di battaglia” di Gianni Amelio, girati in gran parte in Trentino, entrambi in concorso a all’81a Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che si concluderà sabato. Per il resto i due film hanno il loro linguaggio, poetica, ambientazione e sviluppo.

“La storia che racconto – riflette Delpero – nasce da un sogno che ho fatto dopo la morte di mio padre in cui lui mi appariva durante la sua infanzia, a Vermiglio, paese della val di Sole di cui era originario.

Ho ambientato il film nell’ultimo della Seconda guerra mondiale, tenendola fuori campo. La Storia sta per ritrovare la pace nello stesso momento in cui la famiglia protagonista perde la sua”. È un film intimo e molto personale quello di Maura Delpero, in cui le donne della famiglia contadina e i bambini conducono per mano lo spettatore. Nel grande lettone le figlie si confidano, mentre la madre porta a termine la decima gravidanza e il marito (interpretato da Tommaso Ragno), che è il maestro del paese, non la omaggia neanche con un fiore. L’arrivo in paese di un soldato disertore scompagina la vita della famiglia. Lucia (bravissima la roveretana Martina Scrinzi), la figlia più grande, se ne innamora. Rimane incinta, si sposa e vede partire per la Sicilia, di cui è originario, il marito che non tornerà più, ucciso dalla prima moglie, bigamo. Sarà il motivo della di Lucia che, pur distrutta dalla perdita e dal tradimento, si trasferirà in città.

“‘Vermiglio’ è un paesaggio dell’anima, un ‘lessico famigliare’ che vive dentro di me, sulla soglia dell’inconscio – riflette la regista –, un atto d’amore per mio padre, la sua famiglia e il loro piccolo paese. Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo”.

Due amici medici, ma di idee ben diverse sul conflitto (in questo caso il Primo mondiale), interpretati da Alessandro Borghi e Gabriel Montesi, sono i protagonisti di “Campo di battaglia” di Amelio (“Hammamet”, “Il signore delle formiche”).

Il secondo, i feriti che arrivano dal fronte in ospedale cerca di rimandarli quanto prima in trincea, il primo fa di tutto perché non ci tornino. Mentre l’influenza spagnola fa strage. I riferimenti al presente sono evidenti, tra pandemia e rifiuto della guerra, qualsiasi, per quanto il regista non lo ammetta. “È un film sulla guerra, non di guerra”, commenta.

Tra i lavori in corsa per il Leone d’oro, di evidente spessore politico e civile, oltreché estetico, “La stanza accanto” di Pedro Almodovar con Tilda Swinton e Julianne Moore sul diritto all’eutanasia, e “I’m still here” di Walter Salles (“I diari della motocicletta”), ambientato in Brasile durante la dittatura. Fernanda Torres, la protagonista, meriterebbe la coppa Volpi come miglior attrice della competizione.

vitaTrentina

Lascia una recensione

avatar
  Subscribe  
Notificami
vitaTrentina

I nostri eventi

vitaTrentina