Da Cutro a Pylos, il fallimento della “Fortezza Europa”

In poco più di due settimane siamo passati dalla tragedia del caicco turco a Cutro, 94 morti, al recente affondamento del peschereccio libico, 643 morti, di fronte a Pylos nei pressi delle coste greche. In entrambi i casi il dato in comune sono le accuse rivolte alle rispettive Guardie costiere per non essere intervenute in tempo e male di fronte all’imminente rischio di naufragio. Su questo sfondo di ripetute stragi di immigrati fanno davvero impressione le statistiche dell’Onu che stimano il numero dei morti per annegamento in 27mila dal 2014 al 2022. Il Mediterraneo, in altre parole, si è trasformato nella rotta più pericolosa e mortale del globo. Malgrado ciò nei primi mesi di quest’anno il flusso di disperati verso l’Italia, la Grecia e gli altri paesi rivieraschi è raddoppiato rispetto all’anno scorso. Non si tratta quindi di episodi temporanei ma di una spinta inarrestabile verso l’Europa che nessuno in tutti questi anni è riuscito neppure lontanamente a gestire.

Ad aggravare il problema assistiamo ad una drammatica competizione in negativo fra i paesi coinvolti. Il peschereccio inghiottito nelle acque di Pylos era diretto in Italia: nasce quindi il sospetto che da parte greca si sia fatto tutto il possibile per passare la patata bollente al nostro paese, come nel passato ha sempre fatto Malta che negava regolarmente l’approdo ai barconi in difficoltà di fronte alle sue coste. In effetti in Grecia siamo a meno di una settimana da decisive elezioni legislative per i destini del governo conservatore di Kyriakos Mitsotakis. Elezioni anticipate in cui il leader di Nuova Democrazia spera di raggiungere la maggioranza assoluta nel Parlamento (dopo averla sfiorata poco più di un mese fa). I 643 morti rischiano quindi di pesare molto sul risultato elettorale. Per difendersi dal mancato intervento di soccorso, per un governo nazionalista e conservatore come quello greco l’argomento da utilizzare in questi ultimi giorni di campagna elettorale è quello di addossare la colpa all’Unione europea che da anni dibatte di immigrazione senza mai riuscire a dare vita ad una vera politica comune in materia.

Neppure le trionfali dichiarazioni della nostra premier Giorgia Meloni all’indomani della decisione del Consiglio UE di un paio di settimane fa volta ad avviare un primo esperimento di politica comunitaria in materia ci possono davvero tranquillizzare. In effetti anche questa volta a Bruxelles è prevalso lo spirito difensivo di sempre: scaricare sui paesi africani di transito il compito di bloccare la partenza dei barconi, magari con un ricco contributo in denaro dell’UE. È quanto è successo qualche giorno fa a Tunisi allorquando la delegazione guidata dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, assieme a Giorgia Meloni e al premier olandese Mark Rutte, ha promesso al governo di quel paese 100 milioni di euro per trattenere i migranti. Offerta rifiutata ed in ogni caso inutile poiché negli altri casi, dalla Libia all’Algeria, la concessione di denaro non ha mai cambiato la situazione. Unica eccezione è stata la Turchia che ha bloccato sul proprio territorio i rifugiati siriani, ma a fronte di una cifra di ben 6 miliardi di euro. Come pure si ripetono le polemiche fra l’Agenzia Europea delle Frontiere, Frontex, e le Guardie costiere nazionali sulla tempestività degli avvisi di rischio naufragio dell’Agenzia e sulla rapidità ed efficacia degli interventi delle Guardie dei singoli paesi. Guardie che spesso utilizzano scuse poco credibili, come quelle di un mare tempestoso di fronte a Pylos, fatto smentito perfino da papa Francesco all’Angelus con la lapidaria frase: le acque del mare apparivano calme. Quindi neppure il coordinamento fra Frontex e le Guardie costiere funziona, tanto da fare rimpiangere i tempi, fra il 2015 e il 2020, della missione navale comune europea Sophia che aveva tratto in salvo ben 45mila persone. Forse sarebbe il caso di ripristinarla, anche perché salvare vite in mare è uno dei fondamenti del diritto internazionale: un obbligo e non solo un gesto di buona volontà.

Se l’UE continuerà su questa ambigua strada non potrà sfuggire all’accusa di essere una “Fortezza Europa”, vanificando con ciò l’immagine civilizzatrice del nostro continente nel mondo. Un’Unione ipocrita che piange le morti in mare (in Grecia hanno dichiarato tre giorni di lutto nazionale), ma che non riesce ad agire in comune per affrontare organicamente la politica migratoria e di asilo cui tutti i 27 paesi siano chiamati a contribuire.

Sembra quindi ridicola la decisione del Consiglio UE di “multare” di 20.000 euro, per singolo immigrato respinto, i paesi riluttanti ad accoglierli (leggi Polonia e Ungheria, ma non solo). Come se la singola persona valesse quel prezzo. Certo, non è facile “gestire” un fenomeno così complesso e articolato come quello dei flussi migratori, ma fino a quando l’UE non darà un segno di grande unità e di visione comune nei confronti dei paesi di origine e transito, le stragi in mare non cesseranno di dimostrare la nostra comune impotenza ad affrontare un fenomeno che riguarda tutti i paesi dell’UE, nessuno escluso come dimostrato dalla crisi ucraina, fonte di immigrazione anche nei paesi dell’Est dell’Unione, refrattari invece ad accogliere rifugiati dal Mediterraneo.

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