Compagno Nanni, troppe chiacchiere

A cercare di vederlo da destra, si potrebbe dire che Il Sol dell’Avvenire spiega perché la sinistra ha perso le ultime elezioni. A vederlo da sinistra, urge un cambio generazionale: Moretti ci offre qualche chiave di interpretazione su come eravamo, un mezzo sorriso di autoindulgenza sulla crisi perenne del progressismo ma basta così, grazie.

Ecce Bombo, La messa è finita e Caro Diario sono tre film imprescindibili per capire l’Italia tra Settanta e Duemila, ma ora ci vuole altro. Il Nanni ragazzo del ‘53 ha già dato. Un ringraziamento affettuoso ma si faccia avanti una nuova generazione di cineasti. Che magari si preoccupino di più dei drammi di oggi – l’approdo dei migranti, il disagio dei giovani, il vuoto di speranza – e meno di questioni di stile: le sabot con la punta – sentenzia Nanni Giovanni, che non si accorge che il suo matrimonio è al capolinea ma resta attento ai dettagli – “non si possono proprio vedere, se il piede è chiuso davanti, dev’essere chiuso anche dietro”.

Del Sol dell’Avvenire si possono salvare la scena dei titoli di testa, sul Lungotevere, con i pennelli che tracciano la scritta cubitale della Speranza rossa e la scena finale, con la marcia dei compagni sorridenti (arruolati anche gli attori storici del morettismo) destalinizzati ma ancora comunisti, marxisti e trotskisti. Salviamo pure il compagno Ennio-Silvio Orlando, convincente nella parte del segretario di sezione del Quarticciolo. E ben supportato da Barbora Bobulova, sua moglie Vera, che con un sovrappiù di pathos controbilancia l’anaffettività immobile autoreferenziale e mal recitata di Moretti, Buy e compagnia. Salviamo pure i cinque cavalli, felliniani e onirici, del circo ungherese. E le tragiche immagini bianconero, vere, della rivolta di Budapest 1956, soffocata nel sangue dai tank sovietici.

Il resto è morettismo già visto e stravisto, inserti pseudomusical per allungare il brodo di un film che non parte mai (e almeno De André e Battiato aiutano ad arginare qualche minuto di noia). Insopportabili anche i cameo di Renzo Piano e Corrado Augias. La battuta sui due milioni di comunisti che c’erano in Italia (“davvero? – chiede l’attore ignorante leggendo il copione – ma erano tutti immigrati russi?”) è l’unica che strappa un mezzo sorriso, mentre il piccolo monologo di Nanni sul capolavoro di Kieslowski (quinto comandamento: non uccidere) è l’unico momento di passione, sulla violenza cinematografica a cui siamo assuefatti. Come alle guerre vere. Il resto, inclusa l’allusione alla fuga dell’orso M49 dal Casteller, “sono solo parole”, per citare la canzone di Noemi che Nanni stona da par suo, facendo facce. Il morettismo è ormai chiacchiera fritta. Ma il cinema è immagine, movimento, storia. O non è. Aridatece le storie, compagni.

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