Gli addetti ai lavori lo chiamano “e-commerce”, il commercio online, gli acquisti che si fanno in rete: scegli, ordini, paghi con sistemi digitali, ti portano tutto a casa. Anche nel giro di sole 24 ore, domeniche comprese. Nel 2022, secondo l’“Osservatorio e-Commerce”, lo shopping online, in Italia, è stato stimato in 48 miliardi di euro. In cima alla lista dei prodotti più venduti ci sono gli strumenti dell’elettronica, le scarpe, l’abbigliamento, il food (il settore alimentare) e le bevande, l’editoria e l’arredamento.
Sempre secondo le rilevazioni dell’Osservatorio, sono 24 milioni gli italiani che, nel corso del 2022, hanno fatto acquisti online, ossia il 55,3% della popolazione. Una percentuale in crescita del 6% rispetto all’anno precedente. Un dato che è ancora al di sotto della media Ue, un ritardo – secondo l’Istat – riconducibile principalmente alle limitate competenze dei cittadini italiani rispetto a quelli degli altri Paesi europei. Ultima annotazione statistica: il commercio online è più diffuso tra gli under 44 e tra gli uomini, anche se il divario di genere si annulla nella fascia 16-24 anni.
La “rete”, dunque, come immenso mercato – potenzialmente sconfinato – dove si può trovar di tutto: basta saper girare tra le “bancarelle” per cercare ciò che ci interessa, ciò che ci appare conveniente (rispetto alla merce delle botteghe tradizionali), ma anche per acquistare ciò che nessuno avrebbe mai il coraggio di chiedere a voce alta: ad esempio, l’attrezzatura per togliersi la vita.
Non è certo una novità e il fenomeno rischia di essere davvero molto più ampio di quanto si possa immaginare. La Procura di Roma, ad esempio, da tempo sta indagando sulla morte di un ragazzo di 25 anni. Nell’ottobre del 2021, si era procurato per 400 euro ciò che poi gli era servito per suicidarsi. Gli inquirenti hanno trovato le mail, l’accordo di acquisto, le indicazioni per il pagamento, la ricevuta del versamento. Il pacco era arrivato qualche giorno dopo a domicilio ed erano stati i genitori – ignari di quanto potesse contenere – a ritirarlo con la convinzione che si trattasse di uno dei consueti pacchi Amazon che, dopo uno squillo al campanello, vengono talvolta lasciati alla porta di ingresso o nei pressi della cassetta delle lettere.
Non era un pacco normale. Come non era una consegna normale quella che i corrieri avevano lasciato ad una professoressa trentina. Viveva da sola in un piccolo centro della Valsugana e navigando in rete aveva trovato il riferimento che stava cercando: un uomo di Toronto, ex ingegnere aerospaziale, ora in carcere, che gestiva alcuni siti dove era possibile acquistare sostanze pericolosissime, utili per chi era intenzionato a togliersi la vita. L’uomo, in due anni, aveva venduto i suoi “kit” in tutto il mondo: un centinaio solo in Gran Bretagna; una decina anche in Italia dove la polizia, dopo aver trovato senza vita la professoressa trentina, ha rintracciato gli altri acquirenti cercando di scongiurare ulteriori tragedie.
Ogni singola storia – benché accomunata alle altre dal medesimo percorso di ricerca e acquisto – rappresenta ovviamente distinti drammi personali, storie di sofferenza, di perdita di speranza, di grande solitudine. Storie di persone che – vista la dimestichezza con il mondo della rete – non hanno trovato risposte adeguate nel grande mondo delle tante “relazioni possibili”, ma spesso solamente virtuali.
Ritorna, in questo senso, quel concetto di “eremiti sociali” che Francesco qualche anno fa aveva declinato pensando soprattutto ai giovani, ma che a ben vedere si può estendere anche ad altre generazioni, dove le opportunità offerte dai nuovi strumenti si rivelano spesso illusorie e rischiano di generare nuove e profonde solitudini: “La rete – scriveva Francesco – è un’occasione per promuovere l’incontro con gli altri, ma può potenziare anche il nostro autoisolamento, come una ragnatela capace di intrappolare. Sono i ragazzi ad essere più esposti all’illusione che il social web possa appagarli totalmente sul piano relazionale, fino al fenomeno pericoloso dei giovani ‘eremiti sociali’ che rischiano di estraniarsi completamente dalla società”. (Messaggio per la 53a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 2019).
Le connessioni della rete offrono, dunque, grandi opportunità: di crescita, di relazioni, di lavoro. Persino di acquisti sul grande mercato globale. Tutto questo ci fa sentire parte di una “community”, termine simile (ma dal significato quasi opposto) a quello di “comunità”, dove ciascuno si sente partecipe di una storia comune e condivisa, dove ognuno è chiamato a farsi carico anche dell’altro. Cosa ben diversa del mettere un like e molto più impegnativa di quelle connessioni a distanza che quasi mai chiedono davvero di mettersi in gioco. Che è la vera sfida nel confronto con gli altri, ma soprattutto per se stessi.
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