Cinema, la giuria del Trento Film Festival premia il racconto dei delicati equilibri uomo-natura

“Un pasteur”

Alla 72esima edizione del Trento Film Festival ha vinto l’attualità, rappresentata, in questo caso, dal problematico rapporto tra l’uomo e i grandi animali, selvatici e carnivori. La Genziana d’oro per il miglior film-Gran premio città di Trento è stata infatti assegnata al film “Un pasteur”, esordio del francese Louis Hanquet. è la storia di un giovane pastore che porta il gregge in altura, sulle Prealpi francesi e deve “confrontarsi” con la presenza del lupo che, da carnivoro qual è, tenta di predare i suoi animali. è un incerto del mestiere secondo Felix, il protagonista, che prende le sue precauzioni e affronta la situazione, insieme al padre, con ragionevolezza, pur non nascondendosi i problemi e i danni, anche economici, che la presenza del lupo comporta. Un atteggiamento ben diverso da quello che generalmente prevale, caratterizzato da opposti estremismi.

Miglior film di “alpinismo, popolazioni e vita di montagna-Premio Cai” è risultato “Le fils de chasseur”, della svizzera-italiana Juliette Riccaboni, ambientato nel Cantone Vallese. Al centro del doc la caccia sostenibile, tema articolato e complesso, causa di contrapposizioni. Ma, in questo caso, è la scusa per affrontare altro. Un figlio accompagna il padre in una spedizione di caccia sperando di poter riallacciare un rapporto.

La terza Genziana d’oro è andata per l’”esplorazione o l’avventura”, città di Bolzano, a “The great white whale” dell’australiano Michael Dillon (già Genziana d’oro nel 1980 e nel 1993), la scalata ad un vulcano in mezzo all’Oceano Antartico, a metà strada tra Australia e Africa.

Il Gran premio della giuria (composta dall’alpinista Kinga Baranowska, dall’esploratore Alex Bellini, da Jinna Lee, programmatrice cinematografica, Christophe Mercier, consulente cinematografico e dalla giornalista Paola Piacenza) è andato al cortometraggio “Diciassette” dello svizzero Thomas Horat su Antonietta, giovane staffetta partigiana di montagna, tra Italia e Svizzera. Un altro corto, “Body of a line” dell’americana Henna Taylor, ha vinto la Genziana d’argento per il miglior contributo tecnico-artistico. Tra animazione e realtà, è la scalata dell’alpinista Madaleine Sorkin sul Longs Peak, in Colorado, parete di roccia di oltre 4000 metri.

Miglior cortometraggio, invece, Genziana d’argento, è risultato “Postcards from the Verge” della polacca Natalia Koniarz. La cinepresa segue una coppia di ragazzi dell’est che, in bicicletta, attraversa le Ande. Il film ha ricevuto anche il premio Amelia De Eccher, “per le donne, da entrambi i lati della cinepresa”. “Viaggio sia emotivo che paesaggistico, grande capacità narrativa, poetica avventura alla ricerca del sé”, le motivazioni della giuria.

Gli altri premi

Il documentario “Velovelodico” di Alessandro Anderloni, tra l’altro direttore del Film Festival della Lessinia, ha fatto incetta dei primi premi collaterali assegnati. Il doc, 70 minuti, si è infatti aggiudicato sia il riconoscimento del Museo etnografico di San Michele all’Adige per il miglior film di carattere etno-antropologico sia il Premio Eusalp. Racconta di un paese, Velo Veronese, a 1087 metri di quota sulle montagne veronesi della Lessinia, 13 abitanti.

Il CinemAMoRe, promosso dai festival trentini Ram, Tff e Religion Today per il miglior film della sezione “Orizzonti vicini”, è andato al roveretano Emanuele “Manu” Gerosa per “Bambini di frontiera” che si occupa dell’Istituto Alcide Degasperi, a Candriai, sul monte Bondone, che per quasi quarant’anni, tra il 1957 e il 1996, ha ospitato bambini di genitori che dal sud andavano a lavorare in Germania e che erano costretti a lasciare i piccoli in un luogo sicuro e protetto lungo la loro rotta da migranti. Tanti di loro, ora adulti, si raccontano al regista.

Il doc in concorso “Marmolada-Madre roccia” di Matteo Maggi e Cristiana Pecci ha vinto il premio “Città di Imola” che intende riconoscere, “i valori fondamentali del Cai”, il Club alpino italiano. Il doc segue, per un anno, l’impresa di tre alpinisti che, insieme a un giovane climber, scalano la parete sud della Marmolada.

Il premio “Emozione in montagna”, che intende “celebrare la gioia di vivere la montagna immersi nella natura”, è andato a “Keep it burning” del francese Guillaume Broust. Riprende una scalata, in libera, alla “Torre senza nome del Trango”, nella catena del Karakorum, in Asia centrale, da parte di una coppia di fratelli insieme al padre.

“Death of a mountain” del portoghese Nuno Escudeiro ha vinto l’”Antropocene Muse”, istituito dal Museo delle scienze di Trento per valorizzare chi meglio ha saputo rappresentare “il rapporto tra l’umanità e il resto del mondo naturale”. è, in questo caso, il racconto di una donna, che vive sul confine italo-francese, che parla della montagna, “del suo legame con questo territorio, che ora rischia di scomparire”.

Il premio “Dolomiti patrimonio mondiale” su chi meglio è capace di conservare il territorio è andato a “Contadini di confine” del roveretano Michele Trentini sulla collaborazione tra i contadini di alcuni paesi delle valli di Non e di Fiemme per un’agricoltura non intensiva e monocolturale. “The ice builders” di Francesco Clerici, laureato in storia e critica dell’arte alla Statale di Milano e Tommaso Barbaro, sound designer, sulla popolazione della valle montana dello Zanskar, in Himalaya, ha invece vinto sia il premio “Green” per la protezione e la sostenibilità ambientale che quello “Solidarietà Banca per il Trentino-Alto Adige” che intende riconoscere chi meglio interpreta i valori alla base della cooperazione trentina. I valori del Cai (il Club alpino italiano), rappresentativi dell’alpinismo, sono invece all’origine del premio “Mario Bello”. Lo ha vinto “The great white whale” dell’australiano Michael Dillon che racconta le scalate ad un vulcano in mezzo all’Oceano Atlantico tra Australia e Africa. Infine, il T4Future, la cui giuria è composta dai ragazzi di alcuni istituti delle scuole superiori, è stato vinto da “Things unheard of” del turco Ramazan Kilic su una bambina curda che cerca di far tornare il sorriso sul volto della nonna dopo che l’esercito turco gli ha disattivato la tv, unica sua finestra sul mondo.

Al Festival anche il pubblico dà… “Segnali di vita”

“Segnali di vita”

Al Trento Film Festival anche il pubblico ha scelto i suoi film. Chi è andato in sala e ha votato ha premiato come miglior lungometraggio “Segnali di vita” del siciliano Leandro Picarella che con un suo precedente film partecipò alla Settimana della critica della Mostra di Venezia nel 2018. “è un film ibrido, a metà tra finzione e documentario”, ha sottolineato Mauro Gervasini, responsabile della programmazione cinematografica del Tff.

A Lignan, piccolo villaggio in val d’Aosta, arriva, all’Osservatorio astronomico, l’astrofisico Paolo Calcidese, in fuga dalla città per troppo stress (sembra veramente un attore per la naturalezza con la quale si immerge nella parte di sé stesso). Causa un guasto dell’impianto, entra in relazione con i valligiani per un sondaggio sulle loro conoscenze scientifiche.

Come ci si può immaginare, i paesani ne raccontano di tutti i colori, “nel bene e nel male”. L’astrofisico “si dedica ad altre forme di vita finora non considerate: gli esseri umani”, recita la sinossi.

Miglior film di alpinismo è stato invece ritenuto “Monte Corno-Pareva che io fussi in aria” dell’aquilano Luca Cococcetta. è la ricostruzione, anche attraverso le parole dell’alpinista Francesco De Marchi, della scalata del Corno Grande, sul Gran Sasso, che fece il 19 agosto 1573.

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