Cermis 1998, quel cavo tranciato “come una fetta di salame”

La cabina gialla della funivia del Cermis, schiantata a terra il 3 febbraio 1998 dopo un volo di oltre 100 metri. Foto © Gianni Zotta

La telefonata di Bill Clinton ad un furibondo Romano Prodi arrivò solo alla sera, poco dopo le 20. Pochi minuti prima, il Tg1 aveva diffuso le immagini della tragedia: quel vagoncino giallo schiacciato a terra, sulla neve di una radura al limitar del bosco.

Durante la diretta rilanciata sui circuiti internazionali, Alberto Folgheraiter aveva aggiornato il bilancio della strage, quello che poi sarebbe diventato il dato ufficiale, 20 morti, tutti turisti, famiglie di sciatori, e il macchinista della funivia, Marcello Vanzo, un operaio che abitava lì vicino, a Masi di Cavalese.

Quelle immagini, arrivate cinque ore dopo la tragedia, avevano dimostrato che la dinamica era chiara, non c’era la possibilità di far prendere piede ad altre ipotesi. Il cronista che aveva fatto il primo collegamento con i media nazionali, il giornale radio delle 19.00, si era sentito dire da Roma: “Non parlare di fune tranciata, c’è un’Ansa da Aviano che dice che c’è stato uno scarrucolamento della fune a causa del colpo d’aria”.

Non c’erano ancora i social, allora; non c’erano i quotidiani on-line; non c’erano testimonianze in rete. Le notizie arrivavano negli appuntamenti canonici (il giornale radio delle 19, il tg delle 20), i giornalisti dei quotidiani raccoglievano tutti gli elementi che a sera tardi sarebbero serviti per gli articoli sul giornale del giorno seguente, la Rai di Trento era stata la prima a trovare la postazione utile ai collegamenti, grazie al fatto che solo qualche anno prima si era allestita una diretta per ricordare la tragedia del Cermis del 9 marzo 1976 e quel giorno si era andati a colpo sicuro.

Oggi, dai profili social, sarebbe facile trovare le foto per ricordare il volto delle persone morte. Allora, solo 25 anni fa, non c’erano selfie, non c’erano immagini del profilo. Si recuperavano le foto tessere in bianco e nero dei documenti. L’unica foto di quel giorno sulle nevi del Cermis ritrae una ventenne olandese che lavorava come cameriera in un albergo della zona e che aveva approfittato della giornata di riposo per una sciata in quota. Danielle Groenleer si fece scattare una foto mentre sciava, la macchina fotografica fu trovata nello zaino e furono i genitori a far sviluppare il rullino trovando quell’ultima istantanea.

Il cronista in collegamento con il giornale radio nazionale ebbe solo il tempo di focalizzare mentalmente due flash: la fune tranciata (dieci centimetri di diametro, migliaia di fili di acciaio intrecciati tra loro) e una frase che il Procuratore della Repubblica si era lasciato scappare, un impegno che lasciava intendere molte cose: “No, non sarà una nuova Ustica”. Se l’era cavata, il cronista, ricordando, nella diretta radiofonica, di aver visto personalmente la fune tagliata di netto, “come una fetta di salame”, e sottolineando quel riferimento – Ustica – che mise fine a possibili tentativi di depistaggio anche se nel corso della notte ad Aviano, per il procuratore Granero e per il sostituto Giardina, non fu affatto semplice farsi aprire l’hangar dove era stato sistemato il Prowler dei Marines che in qualche modo (e con grande abilità dell’equipaggio, bisogna dirlo) era riuscito ad atterrare con un’ala gravemente danneggiata dopo aver risalito la val di Fiemme, scollinato le Dolomiti, e ridisceso verso la pianura veneta sino all’aeroporto friulano.

La fotografia della fune, tenuta in mano da un carabiniere, e quella – piuttosto buia – dell’aereo: le uniche due istantanee della tragedia che si era consumata nel primo pomeriggio del 3 febbraio. Non esistevano altre immagini, né della funivia, né del volo dell’aereo. Oggi tutto sarebbe documentato dai video di centinaia di telefonini che quel giorno (e nei giorni precedenti) sicuramente avrebbero cercato di documentare quei voli a bassa quota, accompagnati dal boato dei caccia.

Erano mesi che dal Trentino partivano lettere di protesta, petizioni, prese di posizione dei consigli comunali contro quei passaggi acrobatici che iniziavano sul Garda, passavano sulla valle del Sarca e poi sulla valle dei Laghi, attraversavano in pochi secondi la valle dell’Adige e si imbucavano lungo la val di Cembra sino a virare per aggirare il Cermis e risalire Fiemme e Fassa. Mezzo Trentino li aveva visti passare, questi aerei che si preparavano alla guerra in Kossovo. Ma video non ce n’erano, foto nemmeno. Il digitale e gli smartphone dovevano ancora arrivare. E la notizia arrivò al grande pubblico solo cinque ore dopo lo schianto della cabina a terra da un’altezza di 108 metri.

Per la verità, c’era stato qualcuno che quel volo lo aveva documentato con una telecamera: immagini “in soggettiva”, che facevano vedere esattamente quello che vedevano i piloti mentre stavano compiendo quel volo. Ridevano, scommettevano barili di birra sulla loro capacità di riuscire a passare sotto i cavi della funivia.

Quel nastro, quella documentazione, fu distrutta dagli stessi piloti appena arrivati ad Aviano. “Non potevamo permetterci che quel video e quelle risate, venissero associati alle immagini della funivia precipitata a terra”, ammise anni dopo uno dei piloti. Che furono condannati dal tribunale americano proprio per aver distrutto quel nastro. E solo per questo.

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