A proposito del celibato ecclesiastico, il Concilio Vaticano II aveva affermato: “La perfetta e continua continenza per il Regno dei cieli certamente non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali nelle quali, oltre a coloro che assieme a tutti i vescovi scelgono con l'aiuto della grazia il celibato, vi sono anche degli eccellenti presbiteri coniugati” (Presbyterorum ordinis, 16). Sembra quindi che l’abolizione del celibato sia un tema “negoziabile” e possa essere oggetto di un sereno quanto approfondito confronto nella comunità dei fedeli. Pur nella consapevolezza che è illusorio pensare all’abolizione del celibato come ad una risposta all'attuale crisi di vocazioni o alla rinunzia al sacerdozio da parte di molti preti, mi chiedo per quali ragioni continui ad esserci da parte delle istituzioni ecclesiastiche una sorta di rimozione del problema e, soprattutto, una diffidenza verso un ampio coinvolgimento della comunità dei fedeli.
Nino
Ho frequentato le scuole medie “Dante Alighieri” di Trento circa 30 anni fa. Allora alcune sezioni, fra cui la mia, erano ospitate in quel grande complesso dei sacerdoti Dehoniani che si chiamava “Casa Sacro Cuore” e che oggi è in fase di demolizione dopo un rovinoso crollo. Ricordo che un giorno erano venuti in visita dalla Romania alcuni confratelli di rito greco cattolico. Non avevo capito il perché ci fosse una inconsueta agitazione. Forse a distanza di anni lo posso comprendere. Durante la Messa concelebrata insieme, ovviamente senza alcun problema, nel primo banco tra i fedeli c’erano alcune donne: le mogli dei sacerdoti che erano sull’altare Basterebbe questo episodio per far capire che la disciplina del celibato sacerdotale non è una verità di fede, non è un dogma, ma una regola affermata nella tradizione. Si potrebbe pensarla anche come “un dono”: così si è espresso più volte Papa Francesco che, anche prima dell’elezione, si era detto più volte favorevole al suo mantenimento.
La tua annotazione è pertinente: l’abolizione del celibato non cambierebbe sostanzialmente i problemi sul tappeto. Non avvicinerebbe di più la Chiesa a Cristo, ma forse la avvicinerebbe di più agli uomini e magari anche alle donne.
D’altra parte, a mio avviso, un millennio di questa disciplina ha creato un clero abbastanza avulso da quanto sperimentano la maggior parte dei fedeli che un tempo, molto più di oggi, erano per la stragrande maggioranza coniugati con numerosa prole. Al contempo, paradossalmente, le questioni legate al “sesto comandamento” la facevano da padrone nel confessionale, luogo privilegiato (si fa per dire) di contatto tra prete e laico. Questo “nascondimento” è a mio avviso una delle ragioni del silenzio imbarazzato in alcune istituzioni ecclesiali riguardo al celibato.
A ciò si aggiunge il sovvertimento dei costumi in materia sessuale avvenuto negli ultimi decenni e che continua di questi tempi, anzi accelera. Una tradizione ultrasecolare – che prima di essere religiosa era semplicemente culturale – che prevedeva un certo modo di “stare insieme” e di “fare famiglia”, è stata stravolta da modelli libertari e individualisti. La Chiesa, e in generale il mondo cristiano, è stata colta di sorpresa. La piaga della pedofilia non è estranea a questa difficoltà intrinseca. Il fatto che tutti i sacerdoti, generazioni e generazioni di sacerdoti, fossero celibi ha portato in molti casi, secondo me, ad appannare lo sguardo della Chiesa nei riguardi della sessualità, cioè di una dimensione fondamentale del nostro essere persone, come leggiamo anche nelle pagine di Amoris Laetitia.
Sarebbe fuorviante aspettarci una rivoluzione. Realisticamente occorre andare per gradi. Incominciando dai cosiddetti “viri probati”. In questo senso nel marzo 2017, papa Francesco, in un’intervista a Die Zeit, ha aperto il dibattito anche in vista del Sinodo Panamericano, a proposito della situazione specifica delle esigenze pastorali in certe zone dell’Amazzonia. Possiamo quindi perlomeno discuterne. Non serve ricordare che Pietro fosse sposato (come probabilmente la maggior parte degli altri apostoli) e che i primi papi avevano una famiglia (poi nel corso dei secoli incontriamo lo stesso pontefici che “tenevano famiglia”). Oggi però vista la penuria di preti ordinati “normalmente” in non poche situazioni pastorali, perché non dare l’ordine sacro a uomini sposati di una certa età, con alle spalle una vita integerrima e cristianamente esemplare? Ognuno di noi credo abbia in mente qualcuno che lo potrebbe fare, anche se le modalità e l’itinerario della formazione sono giustamente da progettare.
Secondo la mia opinione, questo potrebbe aiutare le comunità a sopravvivere e a rinvigorirsi. Quasi tutte infatti avrebbero ancora la possibilità di trovare dentro di sé queste persone che sicuramente già da anni frequentano la parrocchia. Non sarebbero certo preti mandati da altrove, ma uomini cresciuti dentro la vita quotidiana del “popolo”. Il clero dunque sarebbe formato da sacerdoti celibi che donano tutta la vita alla Chiesa (e questo permane come segno profetico) e da chi vuole donare l’ultima parte della propria vita alla comunità dei fedeli. Certo, sarebbe un grande cambiamento. Prima di arrivare alla possibilità di essere giovani, sposati e preti allo stesso tempo. Un trinomio da fantascienza, ma sul quale sarebbe opportuno aprire un confronto. .
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