Non poche sono le somiglianze con il poliziesco “Rocco Schiavone”, dai romanzi di Antonio Manzini. Parliamo della nuova serie “Brennero”, realizzata sempre da Cross Production, in onda su Rai Uno e RaiPlay dal 16 settembre per quattro prime serate. I punti di tangenza con la fortunata formula di “Schiavone” risiedono principalmente nella messa in scena algida, con un paesaggio montano virato sulle tonalità del blu-grigio, del plumbeo, espressione anche di un mondo interiore dei protagonisti dolente. Con “Brennero” la Rai gioca d’azzardo, perché il target di riferimento sembra più direzionato al pubblico di Rai Due, canale dove vanno in onda narrazioni più “difficili”: oltre a “Rocco Schiavone”, “La porta rossa”, “Il cacciatore”, “L’alligatore” e “Mare fuori”.
Su Rai Uno “Brennero” apre dunque un nuovo varco, cercando di dare una scossa alla prima rete nazionale. La storia è ambientata in una Bolzano di oggi, dove misteriosi omicidi diffondono il sospetto del ritorno di un serial killer (“il mostro”). A indagare la determinata Pm Eva Kofler, appartenente a una facoltosa famiglia di origini tedesche e figlia dell’ex procuratore capo di Bolzano, e l’ispettore Paolo Costa, sospeso dal servizio in seguito a un incidente. I due stringono subito un sodalizio professionale che li mette sulla giusta strada nella caccia al killer ma anche sui rispettivi irrisolti personali… A firmare la serie “Brennero” sono due registi dalla chiara maturità professionale: Davide Marengo (“Il cacciatore” e “Vanina”) e Giuseppe Bonito (“Figli”, “L’arminuta”). Attori capofila i sempre più bravi Elena Radonicich e Matteo Martari, che sagomano con convinzione la Pm Kofler e l’ispettore Costa, due figure diverse per estrazione sociale, identità linguistica, temperamento e con un’ingombrante ferita nel passato. Due tormentati che si trovano stranamente alleati sulla linea del fronte, ovvero arrestare il killer che turba da anni il territorio e risveglia anche pagine scomode della storia del Sudtirolo: gli attacchi terroristici di matrice indipendentista. Cosa funziona in particolare di “Brennero”? Anzitutto l’atmosfera da crime-poliziesco nordico, ovattato e gelido, che gioca di rimandi con il clima invernale dell’Alto-Adige. Procede bene, valida, la pista narrativa gialla – il copione è scritto da Carlo Mazzotta e Andrea Valagussa – come pure i casi che divampano puntata dopo puntata, che trovano poi un punto di contatto con i protagonisti (ad esempio la ventenne Mathilde, giovane artista che la Pm Kofler cerca di proteggere in tutti i modi).
La scrittura e regia si muovono in maniera asciutta e solida nella gestione di contenuti e atmosfere, oscillando sempre tra dimensione paesaggistica, investigativa e conflittualità interiori. E anche se qua e là affiorano ingenuità o sbavature, nel complesso la miniserie dimostra di possedere una precisa identità narrativa e una ricercatezza visiva, capaci di conquistare. Una buona proposta lontana dal già visto.
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