Nessun genitore permetterebbe mai al proprio figlio di 12 anni di girare da solo per una città sconosciuta. I rischi sono risaputi: ci si può perdere, si possono fare incontri che è meglio evitare, si possono vedere cose che un ragazzino è meglio non veda se non accompagnato da una persona adulta, capace di dare delle spiegazioni, di far comprendere, di esaminare assieme. Tutto questo è abbastanza evidente. Ciò che invece sorprende è il fatto che ormai è assai raro trovare un ragazzino senza smartphone, con la piena disponibilità non solo di telefonare (funzione ormai residuale) o di essere connesso con familiari ed amici, ma di poter navigare nell’universo della rete dove si può trovare tutto, ma proprio tutto: senza alcun limite, senza alcun criterio di prudenza.
Gli smartphone sono ormai un elemento costitutivo del nostro modo di vivere: non usciamo di casa senza il “telefonino”. Tra poche settimane, tutti potranno avere, in forma digitale, la patente di guida e la tessera sanitaria sul proprio dispositivo; i medici di base potranno inviare le ricette “bianche”, quelle per i farmaci a pagamento, direttamente su WhatsApp; le scuole ormai funzionano tutte con il registro elettronico; sullo smartphone ci teniamo informati, cerchiamo la strada per arrivare in posti che non conosciamo; comperiamo le cose che ci servono e che ci verranno consegnate a casa; facciamo pagamenti e guardiamo pure la televisione.
Ancora, però, non conosciamo gli effetti dell’utilizzo continuo e prolungato di questo strumento che ha cambiato il nostro modo di vivere. Soprattutto, non conosciamo gli effetti che può avere sugli adolescenti e preadolescenti e sul loro percorso per diventare persone adulte. Lo psicologo americano Jonathan Haidt ha scritto un libro (“La generazione ansiosa”) dove parte da una provocazione: chi mai consentirebbe al proprio figlio di intraprendere un viaggio, di sola andata, verso Marte? Nessuno, ovviamente. Oggi, dice Haidt, mettere in mano uno smartphone ad un giovanissimo è come consentirgli di partire per un viaggio su Marte. I rischi sono tanti, alcuni evidenti: si può arrivare ad una dipendenza dai social, ma anche esporre il cervello al ritmo, incessante ed eccessivo, di TikTok. C’è soprattutto il rischio di agevolare la predisposizione del ragazzino ad isolarsi dal mondo reale per rifugiarsi in quello virtuale, più intrigante e più accogliente. “Le neuroscienze – dicono gli esperti – dimostrano che alcune aree del cervello, fondamentali per sostenere nel bambino le abilità utili per l’apprendimento cognitivo, non si sviluppano in modo adeguato, se il minore trasferisce nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe invece vivere in “analogico”.
Secondo un’indagine dello scorso anno (realizzata da Swg per TelefonoAzzurro), il 75% dei bambini tra i sei e i nove anni usa già uno smartphone. Percentuale che sale al 96% nella fascia d’età compresa tra i 10 e i 13 anni. Un terzo di loro lo fa in totale autonomia, lontano dallo sguardo dei genitori. Quelli che usano il “parental control” (lo strumento che permette ad un genitore di monitorare o bloccare l’accesso a determinate attività online) sono solo il 36% del totale. Più preoccupanti ancora sono i dati dell’indagine sui comportamenti degli under 18 (realizzata da Demopolis per l’impresa sociale “Con i bambini”) e che rivela che quasi un terzo dei soggetti coinvolti nella rilevazione (il 29 per cento) trascorre online più di dieci ore al giorno; quattro su dieci (il 39 per cento) è connesso tra le 5 e le 10 ore al giorno; il 28 per cento trascorre su smartphone (o tablet e pc) da una a quattro ore al giorno. Cosa fanno in tutte queste ore? La stragrande maggioranza (82 per cento) ammette di guardare e condividere immagini, video, reels; il 56 per cento, di giocare online; il 45 per cento, di conoscere nuove persone.
Sono sempre più diffuse in tutto il mondo le iniziative che vorrebbero portare al divieto per legge dell’uso degli smartphone per i ragazzini sotto i 14 anni e dei “social” per chi ha meno di 16 anni. Una richiesta sostenuta da insegnanti, psicologi, pedagogisti preoccupatissimi per gli effetti che l’uso quotidiano di uno smartphone prima dei 14-15 anni può avere sullo sviluppo di un essere umano. “Fa danni a livello cerebrale rendendo più complicate concentrazione e comprensione, ostacola la sana socializzazione con i coetanei, crea una dipendenza tecnologica da cui è difficile liberarsi”. Difficile però che gli Stati ritengano possibile intervenire in via legislativa anche per i dubbi sulla reale efficacia di questi auspicati divieti. Rimane dunque aperta la questione principale, quella del ruolo della famiglia e dei genitori che spesso non sono preparati – “attrezzati” – per affiancare i figli nell’uso consapevole dello smartphone, cosa peraltro difficile per le stesse persone adulte. Non è dunque solo auspicabile, ma è indispensabile intervenire a tutto campo, partendo con progetti formativi per i genitori e per le famiglie, per gli insegnanti e per le scuole, per gli educatori e per le realtà associative: le società sportive, i centri musicali, gli oratori. Perché non è sufficiente rivendicare meno compiti e più tempo libero (dalla scuola), se poi i bambini e i ragazzi sono destinati a vivere questo ulteriore tempo a loro disposizione girovagando liberamente per città sconosciute. O come dice lo psicologo Haidt, navigando senza controlli verso Marte.
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