«A chi mi domanda: "Perché?", dico "Perché no?"». Una risposta che non deve trarre in inganno perché il viaggio in solitaria compiuto da Robyn Davidson nel 1977 attraverso il deserto australiano con il suo cane e quattro cammelli fu una prova di sopravvivenza, fisica ed emotiva, dettata da quel "non sentirsi a casa da nessuna parte" che la spinse a partire per conoscere davvero se stessa.
Con Tracks-Attraverso il deserto (Gran Bretagna, Australia 2014), in concorso alla 70ª Mostra del cinema di Venezia e ora nelle sale, il regista americano John Curran porta sul grande schermo la storia vera di Robyn Davidson, tratta dal libro autobiografico Tracks-Una donna e quattro cammelli nel deserto australiano (Feltrinelli, 2002), in cui la donna, oggi antropologa e scrittrice, narra i nove mesi trascorsi nel deserto. A 27 anni, infatti, decise di attraversare a piedi da sola mezzo continente percorrendo 2700 km da Alice Springs fino all'Oceano Indiano. "Voglio scrollarmi di dosso la negatività autocompiaciuta della mia generazione. Quando sei immobile da troppo tempo non ti resta che buttarti tutto alle spalle". Davidson non vuole stabilire record ma seguire "piste" diverse rispetto a quelle che percorrono i suoi coetanei. Per questo sceglie il deserto per mettersi a nudo, compiendo un'esplorazione che è fisica e interiore al tempo stesso. Durante il viaggio, la donna entra in contatto con la natura selvaggia, incontra gli aborigeni rispettandone regole e usanze, affronta un ambiente ostile e pericoloso con tenacia, senza alcuna paura dell'ignoto. Ne sarà testimone Rick Smolan, il fotografo del National Geographic che documenterà l'impresa dopo averla convinta a firmare un accordo con il Magazine in cambio della sponsorizzazione del viaggio. Un "occhio" verso il quale la giovane non nasconde la sua insofferenza, una presenza che, nella finzione sullo schermo, non aiuta a "vedere" davvero cosa guida i passi di Robyn.
La pellicola si regge sull'interpretazione di Mia Wasikowska che restituisce l'intensità di una scelta vissuta fino in fondo, incarnando un personaggio femminile coraggioso e determinato. Il regista, tuttavia, si affida alla forza evocativa di un ambiente caratterizzato da scenari spettacolari invece che approfondire le motivazioni psicologiche che hanno determinato un'esperienza così estrema.
Il deserto è il "non luogo" dove sperimentare la libertà di perdersi per ritrovarsi, uno spazio in cui vivere un'avventura che potrebbe aprire la via alla profondità, alla scoperta del nocciolo di un'esistenza insoddisfatta. La possibilità di essere se stessa, camminando anche nuda in mezzo al deserto, si trasformerà in capacità di stare al mondo?. L'immersione di Robyn nel mare non allevia la sofferenza di una pelle esposta e scottata: Curran resta in superficie limitandosi ad una cronaca in cui dimensione interiore e cammino fisico non procedono allo stesso ritmo.
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