I lettura: Deuteronomio 18,15-20;
II lettura: 1Corinzi 7,32-35;
Vangelo: Marco 1,21-28
Accadde un sabato nella sinagoga di Cafarnao. Dopo aver ascoltato la predica di Gesù, tutti si chiedevano: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità!”. In questo mondo d’oggi, possiamo dire ancora così di Gesù Cristo e del suo vangelo?
Conservo il ricordo di una trasmissione televisiva di tempo fa’, una di quelle che trattano di argomenti seri (che non sono poi molti in quell’ambiente, com’è noto). Si parlava della Chiesa. Il presentatore, personaggio dalla parola facile, leggeva poche righe da un libro in cui si sosteneva che certezze o verità assolute a questo mondo non ce ne dovrebbero essere, perché – se ci sono – provocano necessariamente intolleranza: il più forte in tal caso impone la sua verità a chi è più debole; con la forza, ovviamente, con la violenza. Le verità, le certezze dovrebbero essere solo relative, cioè: tanto vale la mia religione che la tua o quella dell’altro, e alla fin fine ognuno sceglie quella che gli piace di più (o che lo scomoda di meno…). Insomma non ci sarebbe niente di assoluto. Tutto sarebbe relativo. Sono molti a pensarla così al giorno d’oggi, probabilmente anche tra i cristiani (illudendosi con questo di apparire aperti, di larghe vedute). In realtà, penso che se in parte questa opinione può legittimarsi con prove inconfutabili, per un’altra parte ha il tono di una grossa, affascinante baggianata, tipica della nostra cultura attuale. La dimostrazione? Se tutto è relativo, in tal caso si fa strada un unico assoluto, che fin’ora era rimasto nell’ombra: l’IO, l’io di ciascuno. Se tutto è relativo, se davvero non ci sono certezze assolute, è l’individualismo a dominare; forse perché l’uomo ha comunque bisogno di un assoluto, e se non lo trova fuori di sé, trasforma in assoluto se stesso. Ed ecco infatti il nuovo assoluto della nostra epoca post-moderna: l’individualismo. Il Primato dell’IO. Che non è affatto tollerante o rispettoso verso gli altri, perché chi ha potere, mezzi e prestigio, come si sa, riesce benissimo a imporre le sue idee (relative) agli altri, e a soggiogarli senza che nemmeno se n’accorgano.
Ritengo che non si possa condividere veramente, vitalmente, una Fede – quale che sia – se non si dà per certo che quel Dio in cui si crede merita incondizionata fiducia. Anche per noi cristiani è così: quel Dio che Gesù ci ha rivelato è il nostro Assoluto e merita la nostra incondizionata fiducia. Forse che per questo è inevitabile diventare intolleranti? Sarebbe brutto segno. Sì, ce ne furono epoche d’intolleranza nel corso della storia cristiana: brutto segno del fatto che Dio era decaduto a relativo anche per i cristiani, e ci si illudeva di farlo tornare assoluto imponendolo a tutti con la forza, con la violenza. No, Dio – Gesù Cristo, il vangelo – è un Assoluto che si offre da sé, si propone, non si impone con le strategie di questo mondo, tantomeno con la costrizione e la violenza. Se il Cristianesimo ha conosciuto periodi oscuri d’intolleranza, ha anche sperimentato venti secoli di martirio: fino ai nostri giorni, come è noto. E il martirio subìto è segno di mitezza fino all’estremo, non certo d’intolleranza.
A cosa porterà il dominio assoluto dell’individualismo? Quante saranno le sue vittime? Già abbiamo la prova che non sono poche a tutti i livelli, a tutte le età. Anche per questo noi cristiani dobbiamo testimoniare che assoluto può essere soltanto Dio, ed è bene per tutti che sia così: quando si tratta della direzione da dare alla nostra vita, del suo senso, del suo futuro, la nostra fiducia incondizionata la riserviamo soltanto a Gesù Cristo. Una conclusione, questa, che ha direttamente a che vedere con il vangelo di questa prossima domenica.
“Entrato di sabato nella sinagoga, Gesù insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità, non come gli scribi…”. Un’autorità che però non s’impone obbligando le persone ad accettarla. Dipende da te, tocca a ciascuno di noi crederlo, riconoscerlo, dargli fiducia: allora, solo allora Lui è Maestro, Salvatore, Signore.
Provoca comunque una certa impressione quella storia dell’indemoniato che era lì in sinagoga ad ascoltare Gesù e che a un certo punto diede in escandescenze… Perché mai? E perché solo lui e non gli altri? Oso pensare che quel povero disgraziato quel giorno è stato l’unico a riconoscere in Gesù il suo Salvatore, l’unico a lasciare che le sue parole autorevoli gli entrassero nel cuore e lo mettessero in subbuglio… così da poter essere guarito e andarsene libero! A tutti gli altri le parole di Gesù erano passate sopra le teste: “Ma che bravo! Ma come parla bene!” … sì, ma non hanno permesso a quelle parole di entrare nei loro cuori; non hanno creduto. Eh, qui c’è una lezione per noi tutti, e proprio sulla qualità della nostra partecipazione all’Eucaristia domenicale. Non ci si può limitare a sensazioni superficiali. La Messa non è bella perché c’è un coro che canta bene o un prete che si fa ascoltare volentieri: questi sono criteri da show religioso, ma l’Eucaristia è tutt’altra cosa. Essa è davvero bella se vi si incontra Gesù Cristo, e lo si incontra se Lui e nessun altri è il centro vivo e incandescente della celebrazione; allora le sue parole sono sempre autorevoli. E Lui può essere davvero, ogni volta, il Salvatore e il Maestro. In assoluto.
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