Amy Winehouse, un talento luminoso e fragile

La cantante Amy Winehouse (classe 1983), portentosa voce inglese dalle sonorità jazz e soul, ci ha lasciato precocemente il 23 luglio 2011 all’età di 27 anni. A spezzarle il domani è stato un mix di delusioni, fragilità e sofferenze, insieme a dispersioni tra alcol e disturbi alimentari. Due soli album incisi in carriera, ma di grande risonanza, che hanno lasciato il segno: l’esordio nel 2003 con “Frank” e poi l’approdo nell’olimpo della musica nel 2006 con “Back to Black”, che la porta ai vertici delle classifiche mondiali e le permette di vincere cinque Grammy Awards. Pochi anni dopo la sua morte, nel 2015, arriva il primo tributo cinematografico con “Amy” di Asif Kapadia (“Senna”, “Diego Maradona”), Premio Oscar miglior documentario, e ora nel 2024 il film biografico “Back to Black” diretto da Sam Taylor-Johnson, nei cinema dal 18 aprile con Universal Pictures.

La storia parte da Londra, inizio degli anni Duemila, dove la giovane Amy Winehouse si esibisce in club locali, supportata dalla nonna Cynthia e dal padre Mitch. Nel 2002, grazie al favore di un amico e all’intuito di un talent scout, entra a far parte dell’etichetta Island. Amy, però, mette subito in chiaro che non vuole diventare un fenomeno costruito a tavolino, una “reginetta pop”: lei vuole preservare la sua autenticità tra testi e voce. E così fa. Nel 2003 esce il primo album “Frank”, che incassa subito ottime critiche, seguito dal folgorante “Back to Black” che la porta a sfondare anche Oltreoceano. Nel mentre iniziano i problemi con il cibo e un legame vorticoso, sfibrante, con Blake Fielder-Civil, che finirà poi per sposare. Un periodo in caduta libera sino alla drammatica morte nell’estate del 2011.

“Back to Black”, il film della Taylor-Johnson, rivela tutte le caratteristiche del classico biopic (film biografico) inglese: l’opera gira agile tra note di senso e note stonate, mostrando a livello narrativo soluzioni un po’ troppo patinate e annacquate. A bilanciare il racconto e imprimergli fascino, pathos, è invece il lavoro degli interpreti, in primis la performance potente di Marisa Abela, che fa il possibile per accostarsi con credibilità e rispetto alla figura (e alla voce) di Amy, come pure i comprimari Lesley Manville e Eddie Marsan, sempre acuti e misurati.

Nel complesso, nonostante le imperfezioni e debolezze narrative, “Back to Black” riesce a brillare proprio perché parla di Amy, delle sue canzoni (“Valerie”, “Back to Black”, “Love is a Losing Game”…), dei suoi occhi capaci di bucare, dell’iconica chioma nera vintage e di quel suo talento così luminoso minato da una fragilità commovente.

A impreziosire il film la dolente colonna sonora firmata da Nick Cave e Warren Ellis, autori anche del brano “Song for Amy”: bellissimo e struggente omaggio, un gioiello dalle vibranti emozioni.

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