Alla ricerca di parole vere

Siamo sommersi dalle parole. Chi opera nel settore dell'informazione sa benissimo quanto sia facile naufragare nel vortice delle notizie e quanto sia ugualmente semplice alimentare quello stesso vortice attraverso le proprie parole. Bisogna fare notizia, bisogna dare notizie. Freneticamente, ossessivamente, 24 ore su 24. Cambiando scenario la civiltà della comunicazione, dispiegatasi in maniera parossistica negli ultimi anni, si nutre, come è ovvio, di parole: i social network, la posta elettronica, i messaggi sui telefonini hanno moltiplicato la possibilità di comunicare, stimolando nello stesso tempo il desiderio, quasi il bisogno viscerale, di scambiare in continuazione con gli altri un saluto, un'osservazione, a volte una sciocchezza. Non serve evidenziare quanto la qualità di queste parole sincopate – e in fondo sempre uguali – sia bassa in modo davvero preoccupante.

Molto spesso dietro questa maniera di esprimersi si nasconde il vuoto, derivato dalla solitudine a cui ci costringe l'odierno stile di vita. Non è tanto la progressiva brevità delle frasi o dei discorsi virtuali (occorre stare nei 150 caratteri disponibili!) a rendere povero questo modo di esprimersi, quanto l'insignificanza delle parole utilizzate, così lontane dalla realtà concreta che dovrebbero descrivere, così false rispetto alla verità che dovrebbero veicolare, così ambigue nei sentimenti, nelle idee, nelle promesse di cui sarebbero portatrici. Parole sgonfiate, parole impoverite, assenti.

In campagna elettorale le parole si moltiplicano, ma non significano quasi più nulla. Le promesse dei politici, già aleatorie in altri contesti, in questo periodo sono talmente mirabolanti e contraddittorie che sembra impossibile riescano ancora a convincere qualcuno. Le parole dei vari personaggi in campo si incrociano, si elidono, si assommano, si nascondono, spariscono improvvisamente in un brusio di chiacchiere, slogan, urla. Ciò che più allontana però è la progressiva discrepanza tra la parola detta e la realtà significata da quella parola. Tra parola e cosa esiste un abisso.

Tutti noi vorremmo che ogni nostra speranza, ogni nostro progetto si concretizzasse, che ogni discorso fatto raggiungesse il suo obiettivo, ma ci accorgiamo quotidianamente dello spreco di parole che facciamo, della dolorosa distanza che intercorre tra il dire e il fare. In mezzo c'è il mare delle incomprensioni, dei fallimenti personali e collettivi, della violenza verbale e dell'incapacità di portare a termine anche il più banale dei proponimenti.

Uno dei nuclei fondamentali del messaggio biblico risiede proprio nel rapporto fortissimo tra parola e cosa, tra promessa e compimento effettivo, tra scrittura e sua realizzazione. Soltanto in Dio queste coppie coincidono: la creazione avviene mediante un comando orale di Dio, perché accanto a Dio stava la Parola, anzi Dio stesso è Parola (cfr. Gv 1,1). In ebraico lo stesso termine indica sia “parola” sia “cosa”, proprio per rimarcare lo strettissimo legame che intercorre tra i due concetti. La speranza dei profeti è vedere tradursi in realtà l'annuncio pronunciato che, come la pioggia e la neve, dovrebbe irrigare e rendere feconda la terra (cfr. Is 55,10). Secondo il Vangelo di Luca Gesù comincia la sua predicazione a Nazareth affermando che le parole di liberazione lette dal rotolo di Isaia si sono finalmente compiute in quel giorno.

Certamente affinché un discorso possa dare il suo frutto occorre che qualcuno lo ascolti. Non c’è parola senza un uditore. Per questo il primo comandamento che fonda tutti gli altri è: “Ascolta Israele!”. Di converso però anche Dio ascolta le parole degli uomini e si ricorda di loro. È quindi una mutua relazione tra il dire e l’udire, tra la parola e l’ascolto, tra l'uomo e Dio, e viceversa.

Come evidenziavamo prima, tuttavia, nella nostra vita sperimentiamo l’opposto, la fatica nell’interloquire, la difficoltà nell’esprimersi, nell’ascoltare, nel farsi capire. Ancora una volta nella Bibbia ritroviamo tutto questo: preghiere non esaudite, sordità di Dio e del popolo, lacerante attesa di un compimento che non arriva mai. A fronte di tale situazione però la parola e l’ascolto non vengono mai meno e continuano a intrecciarsi inevitabilmente: sono essi che stanno alla base della fede ma pure della comunità, della società, della nostra umanità. Oggi più che mai, prima di parlare a vanvera sarebbe necessario imparare ad ascoltare anche chi apparentemente non sembra essere degno di attenzione. E per ascoltare occorre fare silenzio, dentro e fuori di sé. Soltanto in questo modo al momento di dire qualcosa si verrà creduti e soprattutto, forse, quelle parole si potranno tradurre più facilmente in realtà.

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