Si fa sempre più critica la situazione al confine tra Grecia e Turchia, raggiunto in pochi giorni da decine di migliaia di migranti, in gran parte siriani, dopo che il governo di Ankara ha annunciato di non voler più arginare il flusso, aprendo le frontiere verso l’Unione Europea.
Una mossa che il presidente turco Erdogan ha giustificato accusando l’Europa di non averlo sostenuto nella gestione della crisi in Siria e di non aver rispettato gli accordi economici pattuiti per sostenere la Turchia nell’accoglienza dei milioni di profughi che attualmente si trovano sul suo territorio.
Le conseguenze non si sono fatte attendere: sono migliaia le persone ammassate al confine, respinte anche con la forza dalla polizia greca. Scontri violenti che, secondo i media turchi, hanno già prodotto un morto e diversi feriti tra i profughi che cercano di attraversare le recinzioni.
Altro fronte caldo è quello mediterraneo, dove sono decisamente aumentate le imbarcazioni di profughi che cercano di raggiungere l’Europa via mare, sbarcando sulle isole di Lesbo, Chios e Samos, già da tempo al collasso per la mancata gestione delle richieste di asilo da parte del governo greco. Un sovraffollamento difficilmente sostenibile, pericolosamente cavalcato anche da formazioni di estrema destra che si sono rese responsabili di svariati episodi di violenza e intimidazione contro i profughi e gli operatori delle Ong.
“L’escalation è iniziata da una quindicina di giorni e le cose sono degenerate quando Erdogan ha deciso di aprire le frontiere”, ci racconta Massimiliana Odorizzi, direttamente dall’isola di Somos, dove lavora per l’Ong inglese Action for Education: “La situazione peggiore al momento è al nord, ma anche qui sulle isole se di solito arrivano 10-12 barche di profughi alla settimana, solo domenica ne sono arrivate 19”. La situazione è cambiata non solo per quanto riguarda gli sbarchi, prosegue l’operatrice trentina: “Fino a una settimana fa queste persone venivano soccorse, mentre adesso si stanno verificando alcune situazioni davvero brutte: da una parte le azioni di rappresaglia dei neofascisti che vanno a rompere il motore delle barche o tentano di bucare i gommoni, dall’altra la guardia costiera greca che prova a spingere le imbarcazioni in acque turche in modo che sia la Turchia a doverle soccorrere”.
Un clima che travolge anche le stesse Ong che oltre all’accoglienza cercano di dedicarsi anche al dialogo con le popolazioni locali e che, come ci racconta Massimiliana Odorizzi, a Lesbo hanno deciso di chiudere temporaneamente, vista la pericolosità della situazione: “Anche qui a Samos sono successi episodi che non ci fanno stare proprio tranquilli, c’è sicuramente un’escalation di violenza anche nei confronti delle Ong e l’impressione è che, se dovesse arrivare un’altra ondata importante di migranti, la situazione potrebbe implodere. Bisogna considerare che qui la popolazione greca conta 5000 abitanti, di fronte a 7500 rifugiati stipati in un campo che ha una capacità di 600 persone”.
Non è esagerato parlare di crisi umanitaria quindi, mentre l’attenzione dell’occidente è rivolta a ben altri allarmi e l’Europa, alle cui porte sta accadendo tutto questo, non pare intenzionata a trovare soluzioni immediate. Per questo più di 100 Ong si sono rivolte alle maggiori cariche dell’UE con una petizione dal titolo “L’Europa deve agire per il decongestionamento immediato delle isole dell’Egeo”, chiedendo più accoglienza, la creazione di un registro di personale in grado di sostenere le procedure di richiesta asilo in Grecia e azioni immediate per decongestionare queste isole.
“Altrimenti è davvero difficile prevedere come potrebbe evolversi la situazione”, conclude Massimiliana Odorizzi: “Il rischio è che si scatenino guerriglie tra richiedenti asilo e popolazione locale, proprio ciò che cerchiamo di evitare. Speriamo che cambi qualcosa, in caso contrario sarà veramente dura”.
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