“Mancano i profeti”

A colloquio con don Remo Vanzetta, il più anziano fra i preti trentini eletto nel rinnovato Consiglio presbiterale: “E' profetico non chi pretende di risolvere tutti i problemi, ma chi sa dirmi da dove incominciare, che mi apre una strada o almeno una finestra Dobbiamo capire da dove cominciare…”

In Consiglio presbiterale, dove coordinava i lavori ai tempi del servizio in Curia da delegato vescovile, don Remo Vanzetta, classe 1938, è tornato non tra i nominati, ma tra gli eletti (“Non so chi mi ha votato…”, si schernisce), molti dei quali sono stati anche suoi alunni. L'ex parroco di Pergine, ora collaboratore di don Sergio Nicolli a Rovereto, accetta di scambiare qualche riflessione d'inizio anno: che impressione le fa ritrovarsi come “decano” di questo rinnovato Consiglio presbiterale?

“Mi sento un po' il rappresentante della vecchia guardia e spero di poter essere testimone del cammino compiuto dalla nostra Chiesa a partire dal Sinodo diocesano – concluso trent’anni fa -. Nella riunione di oggi non ho citato le Costituzioni sinodali – avevo paura di essere etichettato come un rientrato dall’Antico Testamento – ma le avevo rilette ieri sera, trovandovi spunti importanti e di attualità; oltretutto il tema dei beni della Chiesa  – eravamo ancora vicini al ‘68 – era ancora più sentito di adesso.

Cosa raccomandavano?

Alcuni principi chiave circa la destinazione dei beni e il loro uso: trasparenza, solidarietà, partecipazione, sobrietà, soprattutto corresponsabilità delle comunità di base nelle decisioni in merito; ma anche nella partecipazione concreta al fabbisogno del personale, delle strutture, delle opere di carità. Ricordo in merito una raccomandazione del vescovo Gottardi: “Ogni Messa dovrebbe avere un Offertorio serio!”.

Il Consiglio presbiterale parte dal discernimento sui beni della Chiesa: come mai?

Mi pare si sia partiti dai discorsi sulla “chiesa povera”. Dal recente Sinodo della Chiesa di Bolzano-Bressanone (2013-2015) mi pare sia uscita l’immagine di una “chiesa dei poveri”: il primo degli otto “Provvedimenti” riguardanti la “Chiesa sul territorio” – l’ho letto ieri sera – è intitolato “Servire il prossimo”; solo dopo viene il “Celebrare e annunciare”. Il nostro Sinodo (1,250-56) parlava di “spirito di povertà”, “condivisione dei beni”, e di “pane spezzato per la vita del mondo”. In questo senso credo che le risorse ingenti destinate dalla Diocesi all'accoglienza dei profughi siano un segnale molto positivo.

Quali attenzioni ritiene importante nella gestione dei beni?

Oggi si è sottolineato come nell’attività esterna e interna della chiesa sia essenziale la collaborazione del volontariato che va promosso,  e l’impiego dei laici, a cui peraltro va il giusto riconoscimento economico. I mezzi comunque non possono venire solo da redditi dei beni o dall’otto per mille; le comunità dei fedeli vanno sollecitate   a contribuire con donazioni regolari: di qui la necessità di bilanci preventivi oltre che consuntivi,  di trasparenza anche riguardo al patrimonio e alle partecipazioni bancarie. Nella realtà dei fatti le grandi proprietà comportano spesso grandi spese.

Quali sono le sue sensazioni riguardo alla vita sociale in questo  2017?

A parte Papa Francesco, mi pare che nella vita sociale ed ecclesiale, manchino i profeti. Si scrivono e si raccontano tante cose, si raccolgono tanti dati, si parla tanto di complessità, ma non si fa l’”analisi fattoriale”, non si cercano i fattori responsabili, non si sa da che parte cominciare nella soluzione dei problemi. I partiti pensano a cosa mi conviene, con chi mi alleo, ma non pensano ai programmi. Ci vogliono persone che non abbiano viste corte, ma profeti che sappiano prevedere ciò che succederà… Ad esempio, chi vede solo la difficoltà causate dagli immigrati, ha le viste corte: è profetico chi vede in essi la salvezza almeno economica di un continente invecchiato per la denatalità: tra poco mancheranno i lavoratori a fare certi lavori o ad assicurare le pensioni… Ancora: è profetico non chi pretende di risolvere tutti i problemi, ma chi sa dirmi da dove incominciare, che mi apre una strada o almeno una finestra, una possibilità, chi mi inventa un lavoro…

In campo economico?

Da come sono andate le cose negli ultimi anni, ho l’impressione che non usciremo dalla crisi economica con i grandi capitali o con le grandi industrie, ma con tanti piccoli interventi, con tanti piccoli risparmiatori, con tante piccole aziende… che si mettono insieme: del resto cosa fa lo stato quando vuol riempire in fretta un grosso buco? Con le accise spalmate su tutti.   “Insieme si può” è   l'antica formula della cooperazione, quella che nella seconda metà dell'Ottocento ci salvò da una crisi ancora più grave. Ho paura che anche le grandi concentrazioni in atto nella cooperazione portino ad una  perdita di contatto col territorio, ad una perdita della fiducia dei piccoli contribuenti.

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