DOMENICA 11 LUGLIO 2021 – XV DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B
Am 7,12-15 – Ef 1,3-14 – Mc 6,7-13
Ricordo di aver letto qualche anno fa un libricino di Christian Bobin, scrittore francese apprezzato per la profondità delle tematiche trattate, dal titolo: «L’uomo che cammina». Questo uomo è Gesù, che in un piccolissimo spazio si muove e «non fa dell’indifferenza una virtù» e «quello che vuole, non per sé lo vuole. Quello che vuole è che noi ci sopportiamo nel vivere insieme». Oggi Marco ci dice anche un’altra cosa, la dice a noi, discepoli di quell’uomo che andava di villaggio in villaggio; ci raccomanda di essere uomini che camminano, non che si accontentano di ascoltare, meditare e pregare. Atteggiamenti senz’altro importanti, ma che forse da soli non trasmettono al mondo il messaggio fondamentale che il Padre ha dato a Gesù: il regno è vicino, basta saperlo attendere, saperlo desiderare e accogliere.
Per fare questo è necessario camminare, incontrare e stare in mezzo alle persone. Facciamo attenzione a come si comporta Gesù, secondo il Vangelo di questa domenica. Per prima cosa «chiama» a sé i dodici e successivamente li «manda». Non vanno a portare una loro idea, un loro progetto. E Gesù non li chiama per sé, per avere tanti amici attorno, magari per essere ammirato. Ma chiama per altri, perché «chi ha ascoltato possa ripetere, chi ha compreso faccia comprendere, chi è stato risanato abbia cura di altri…» (Gabriella Caramore). Ancora una volta si sottolinea che la fede non può essere ridotta a una relazione esclusiva tra la creatura e il suo Creatore, che il cristianesimo ha la sua grande forza di attrazione proprio nell’apertura agli altri.
È questo l’insegnamento che possiamo trarre dalle proibizioni che Gesù impone ai discepoli: «E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura…» (Mc 6,8). Ordinò in altre parole «una maniera di vivere che non è determinata e condizionata dal denaro e dal benessere, ma dal progetto di alleviare la sofferenza, dalla lotta contro coloro che fanno violenza, dal rispetto per la dignità e diritti di tutti, dall’impegno di rendere felici coloro che ci circondano» (J.M.Castillo). Per custodire e condividere un carico tanto prezioso, i discepoli devono essere liberi da legami ingombranti, sciolti da pesantezze inutili, rivolti sempre all’essenziale e non al superfluo. Gesù raccomanda prima di tutto uno «spirito di semplicità».
E poi dà una seconda indicazione ai Dodici, che magari a noi pare un po’ ruvida: «Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro» (Mc 6,11). Gesù, che ha appena vissuto una situazione analoga a Nazareth, mette in guardia i suoi dall’ostilità o dal disinteresse che possono incontrare. Sì, perché poteva succedere allora e può accadere anche oggi, che si ascolti cortesemente la Parola ma con gli orecchi «ostruiti d’ortica», come scrive la poetessa Nelly Sachs. Forse Gesù vuol anche dire che «evangelizzare» non significa «convincere a tutti i costi» e «missione» non significa «imposizione». È con queste indicazioni che gli apostoli, e anche i cristiani di ogni tempo, sono mandati su quelle strade che solo Dio può aprire, a predicare che la gente si converta, a guarire i malati, a scacciare i demoni. Sappiamo tener fede al progetto di Gesù?
E secondo voi?
Cosa intendo con la parola fede?
Come cerco di viverla?
La mia comunità/parrocchia si sente chiamata a testimoniare la Parola ricevuta da Gesù?
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