Giannantonio Manci e il bisogno di “liberare l’Italia”

Giannantonio Manci visto da Giorgio Romagnoni

Per non fare i nomi dei suoi compagni partigiani, si tolse la vita gettandosi dalla finestra della stanza dove lo stavano sottoponendo a un rigido interrogatorio. Giannantonio Manci moriva a Bolzano il 6 luglio del 1944, ed è stato ricordato – come ogni anno – di fronte alla lapide della galleria dei Partigiani di Trento, che collega piazza Cesare Battisti con la via a lui intitolata.

Manci nasce a Trento nel 1901, ed eredita dal padre, il conte Massimiliano Manci, un liberale avverso a qualsivoglia forma di fascismo, una fermezza e un’intransigenza nei principi che lo accompagneranno per tutta la vita. Il suo pensiero si rifà al Risorgimento italiano e a Mazzini, ma anche a Cattaneo e a Battisti.

Strenuo sostenitore dell’Italia unita, Manci partecipa all’impresa di Fiume di Gabriele D’Annunzio, tanto da diventare, al suo rientro, nel 1921, un punto di riferimento in Trentino della sezione locale della “Federazione dei Legionari Fiumani”.

“La storia di Trento nella lotta per l’indipendenza nazionale, per la libertà, per le rivendicazioni sociali è dominata e rappresentata nell’ultimo mezzo secolo dall’opera e dal pensiero di due martiri: Cesare Battisti e Giannantonio Manci”, scrive Gigino Battisti, figlio di Cesare e compagno di lotta di Manci. I due partono dagli stessi ideali e dallo stesso pensiero politico, ma la loro lotta, come sottolinea Gigino Battisti, si svolge su fronti diversi. “Battisti si batté nei comizi, sui giornali, nel parlamento, sul campo di battaglia in divisa di alpino italiano”, precisa. “Manci fu il cospiratore che si batté con la stampa clandestina, nei movimenti clandestini, clandestinamente varcando le frontiere, e clandestinamente preparando e animando i partigiani nel Trentino”.

Sin dal 1922, infatti, Manci è animatore del Partito Repubblicano Italiano, convinto del fatto che è soltanto attraverso questo sistema politico che si potranno eliminare i soprusi dell’uomo sull’uomo. Nel 1929, poi, dà vita assieme ad altri al movimento Giustizia e Libertà, mentre qualche anno prima, tra il 1926 e il 1927, organizza assieme a Gigino Battisti l’espatrio di alcuni amici perseguitati dal regime fascista.

Manci è stato uno dei principali punti di riferimento per la Resistenza in Trentino; una figura importante soprattutto perché ha saputo cogliere la necessità di una convergenza nella lotta al regime fascista, pur nella diversità di opinioni e di visioni degli antifascisti. Ha perciò unito persone avverse al fascismo di destra e di sinistra, repubblicani e socialisti, e non a caso dal 1943 è stato a capo del Comitato di Liberazione Nazionale clandestino del Trentino.

Manci non si perde a pensare al solo presente: le sue visioni riescono ad andare oltre e a immaginare un futuro federalista, europeo e libero. Un concetto di libertà, il suo, che va oltre il “semplice” antifascismo, come suggerisce la frase ripresa dalla vignetta di Giorgio Romagnoni, in cui Manci esplicita il suo pensiero: “Gli italiani hanno bisogno, per rivivere in libertà, di conquistare a sé stessi, anzitutto, un mondo di onestà politica”, scrive. “Si deve liberare l’Italia non solo dalle baionette dei tedeschi e dei fascisti, ma anche dalla corruzione, dallo spirito di compromesso, dall’equivoco politico, dall’abitudine di transigere sui principi… Né si debellerà oggi lo spirito della sua ventennale tirannide”.

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