Rimane l’antica tradizione nella piccola e unita frazione sopra Mattarello
Valsorda, 19 febbraio – Per i “valsordi” è l’avvenimento più importante dell’anno, San Valentino, che qui si celebra la domenica successiva al 14 febbraio. “La vigilia della festa – racconta Elena Ferrari, 82 anni, “immigrata” da Segonzano, in Val di Cembra nel 1957 – tutti sono impegnati a pulire le strade, ad addobbare le finestre, a predisporre un ricco vaso della fortuna”.
Le donne, capitanate da Carmen Bridi, 76 anni, “storica” sagrestana della chiesa di San Valentino, hanno lavorato l’intera settimana per impastare e cuocere un centinaio di crostate di mele e altri dolci per la “sagra”. “La famiglia Ferrari – rivela con orgoglio Carmen – tiene in casa le chiavi della chiesa di Valsorda dal 1866. Sono subentrata a Giuseppe Ferrari, mio suocero, nel 1982 quando egli ha lasciato l’incarico di sagrestano dopo 65 anni”. .
La piccola comunità sul dosso, che chiude la valle fra la Marzola e la Vigolana, nel giorno di San Valentino diventa l’ombelico del mondo. Per la ricorrenza, da alcuni anni, arriva puntuale anche il sindaco di Trento, Alessandro Andreatta, poiché dal 1926 è villaggio del comune di Trento. In precedenza, Valsorda faceva parte dei quattro “Columelli” di Mattarello. Curazia della parrocchia di Vigolo Vattaro dal 1768, fino al 1786 dipendeva dalla diocesi di Feltre il cui confine si estendeva fin poco sotto, nella valle, a Brusafer. Dal 1920 è parrocchia e da 37 anni il parroco è mons. Livio Sparapani (1935), il quale, nonostante l’età e qualche problema di salute, non manca mai all’appuntamento domenicale. Per la ricorrenza del patrono, ai 131 abitanti del villaggio si sono aggiunti numerosi “devoti” saliti da Trento, Mattarello (tra di loro anche l’artista Mastro7) o scesi dal vicino altopiano della Vigolana. Compresa la banda di Vigolo Vattaro che ha accompagnato la processione con la statua di San Valentino.
Il coro misto ha reso ancor più solenne la Messa. Al rientro dalla processione, il rito si è concluso con il bacio della reliquia, un rito medievale che usa ancora in talune zone del Trentino dove la devozione è ancorata alla tradizione.
Nel 1860, Valsorda contava 240 anime; dieci anni dopo la popolazione era cresciuta di venti unità. Nel 1901 gli abitanti erano ben 329, ma allo scoppio della Grande guerra la comunità si era ridotta a 218 unità. Il villaggio aveva 77 abitazioni.
La piccola storia di Valsorda è condensata in un bel volume che Carmen Bridi ha dato alle stampe giusto per San Valentino del 2013. Giuseppe Ferrari, scrive nella prefazione, “era una persona molto attenta alle vicende liete e tristi della comunità. Non si limitò ad annotare i fatti di cui era stato testimone diretto, ma raccolse (in un quaderno) e riportò anche le testimonianze dei suoi avi, in particolare del papà Giovanni, nella convinzione che la memoria fosse un qualcosa di importante da coltivare e tramandare alle generazioni future”.
Morto il suocero (novembre 1984), ha continuato Carmen Bridi. Come il cronologo di un convento francescano, anche lei annota ogni giorno tempo e temperatura, vicende che coinvolgono il villaggio o i suoi abitanti. È un diario fondamentale per mantenere l’identità e la memoria.
Dal volume “Valsorda, la sua chiesa e la sua gente” risulta che la chiesa fu ampliata nel 1881 quando fu costruito anche il campanile. Vi furono collocate tre campane, due delle quali furono requisite dall’Austria, per fondere cannoni, nel corso della Grande guerra. La campana mezzana, rimasta sul campanile e fusa nel 1897, porta la scritta “proprietà della frazione di Valsorda”.
Scriveva Giuseppe Ferrari nel diario del 1915: “Appena dichiarata la guerra da parte dell’Italia quasi tutta la popolazione di Valsorda fu portata profuga in Moravia per due anni e mezzo”.
La popolazione di Valsorda e Mattarello fu rimpatriata il 13 novembre 1917. “Al nostro ritorno trovammo la desolazione e la fame”. Ma “sulla deportazione nel distretto di Vischau in Moravia andrebbe scritta una storia a parte, per il carico di sofferenza, dolore, sfinimento che procurarono quei due anni e mezzo di esilio e di tribolazione”.
Poi venne un’altra guerra. Nel 1949 “il primo aprile, Albino e Norma Ducati aprirono presso la loro casa un negozio di generi alimentari”. Nel 1950 per la festa di San Valentino arrivò il nuovo parroco (don Giacomo Soraruf) ma “la festa si svolse sotto una fitta nevicata che smorzò parecchio gli entusiasmi”. Se negli anni Cinquanta, d’estate arrivava il “gelatàro”, anche “la sagra di San Valentino aveva il suo angolo dolce con un banchetto in cui si potevano acquistare carrube e zirèle”.
Nel 1974, a causa della crisi petrolifera e dell’austerità, scrive Carmen Bridi, “la nostra sagra fu ridotta con poca gente, niente vaso della fortuna, torta e vino a offerta alle scuole, alla sera cinema sempre presso le scuole”.
Chissà che cosa avrà annotato Carmen Bridi a conclusione della festa di San Valentino del 2017? Lo sapremo con il prossimo volume su “Valsorda e la sua comunità”. Bella gente, non c’è che dire.
Alberto Folgheraiter
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