Come avevamo previsto su Vita Trentina (4 ottobre 2020) l’Italia, rispettando i tempi, ha il suo bel PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, corredato da uno stringente cronoprogramma di riforme. Il documento esprime qualità programmatoria e consapevolezza dei ritardi del Paese.
Tuttavia il Piano, pur importante, è un punto di partenza, non d’arrivo: il difficile viene ora, viste le nostre usuali debolezze in fase realizzativa e il forte indebitamento. Questo è un aspetto nevralgico.
Il PNRR, assieme al «decreto Sostegni», spingerà il debito pubblico italiano a livelli record. Il Documento di Economia e Finanza (DEF) 2021 lo stima al 159,8% del PIL nell’anno in corso, con un calo di (soli) 7 punti nei tre anni successivi.
Il Presidente Draghi, con sereno ottimismo, parla però di «debito che si ripaga con la crescita», facendo gongolare i nemici dell’austerità. Secondo la nuova trovata lessicale del Premier, questo è il «debito buono», che ci arricchirà, restituendoci in PIL molto più di quanto speso.
Cattivo è invece il debito che impoverisce, lasciando al futuro soltanto conti da pagare, come nel caso di sprechi, opere inutili, assistenzialismo, costi esorbitanti della vetusta macchina burocratica, pensioni «giovani» e altre amenità. Ma le spese cattive sono sempre degli altri; per chi governa tutto è utile, equo e degno d’infilarsi sotto il mantello del debito buono, già molto ampio. Per nostra fortuna, la prospettiva è diversa dal passato.
Quando il problema era la sfiducia dei mercati sulla nostra solvibilità (governo Monti) l’urgenza era bloccare il debito. Oggi, con il favore della bassa inflazione e della solidarietà finanziaria europea, il problema è riattivare l’economia e il lavoro. Secondo Draghi, con gli attuali tassi d’interesse, «la domanda diventa: ce la farà lo Stato a crescere abbastanza per ripagare il debito che sta facendo oggi? È la crescita il criterio principale cui guardano tutti coloro che danno il rating al Paese».
Il Premier definisce questa nuova prospettiva una «scommessa». Non un’abiura delle politiche di rigore, ma l’alternanza di cure diverse per situazioni diverse. Una scommessa si può però anche perdere.
Al dubbio sul livello di tranquillità che ci è concessa, Carlo Cottarelli (All’inferno e ritorno, 2021) risponde che il nostro debito cresce soprattutto nei confronti delle istituzioni europee, che applicano costi nulli e non hanno obiettivi speculativi, quindi sono decisamente più stabili dei mercati. Ciò attenua molto il rischio associato al peggioramento del rapporto debito/PIL. Questa è la buona notizia.
La cattiva è che un rischio c’è, duplice: finanziario, perché in caso di ritorno dell’inflazione la BCE dovrebbe drenare liquidità e quindi astenersi dall’acquisto dei nostri titoli di Stato; politico, perché il momento solidale dell’UE potrebbe svanire, specie se la prodiga Italia non farà la brava.
Passata la buriana, si dovrà dunque restringere il perimetro dell’indebitamento, buono o cattivo che sia, e alleggerirne il peso. Lo conferma il DEF 2021, che prevede di «riportare il rapporto fra debito pubblico e PIL verso il livello pre-crisi (134,6 per cento) per la fine del decennio».
Succede anche in famiglia: se uno dei membri è depresso, anche la spesa voluttuaria per una vacanza giustifica un nuovo debito. Ma, guarito il familiare, è meglio che le vacanze siano pagate con il reddito corrente. Il debito si fa quando serve e quando si può. Con prudenza, che invece serve sempre.
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