“Ti ringrazio o Signore, perché mi hai guarito, e non hai permesso che il nemico prevalga su di me. Ti ringrazio perché in questi giorni di malattia, non mi hai lasciato solo, nemmeno un istante. Ti ringrazio per le persone che mi sono state vicine”. Comincia così la preghiera (QUI IL TESTO COMPLETO DELLA PREGHIERA) che il parroco di Brentonico don Luigi Mezzi, ha scritto di suo pugno su un tovagliolo della colazione durante uno degli ultimi giorni di degenza in ospedale. “Poi, una volta tornato a casa l’ho sistemata per pubblicarla sull’ultimo foglietto domenicale”.
Il ricovero all’ospedale S. Maria del Carmine il primo marzo, poi il trasferimento alla Solatrix e, finalmente, le dimissioni il 19: settimane difficili che il sacerdote tionese classe 1967 non dimenticherà. Un calvario lungo il quale però, oltre al dolore, ha incontrato tanta umanità: “È il ricordo più vero che mi sono riportato a casa assieme alla consapevolezza di essere stato sempre in buone mani”, racconta don Luigi. “In ospedale ho incontrato una grande umanità che a volte si fatica a trovare fuori, o anche dentro noi stessi: l’ossigeno e le maschere – le nostre e quelle dei medici – sembrano allontanare, ma in realtà dietro c’è una profonda intesa di sentimenti. Capisci che chi viene davanti al tuo letto non ‘dosa’ soltanto le medicine, ma anche la tua situazione personale, quella psicologica. Che per loro non sei soltanto il letto 29 del quinto piano, ma una persona e per qualcuno anche… il parroco di Brentonico!”.
Don Luigi racconta di essere stato un paziente… paziente. “Ho accettato la maschera dell’ossigeno, in quei momenti anche la fede ‘prende delle crepe’ e ti metti nelle mani degli uomini che in definitiva però sono quelle di Dio. Ne sono uscito arricchito di umanità, di semplicità e di bontà: sono anche calato dieci chili e non mi lamento”, scherza al telefono don Luigi, mentre ci racconta la Settimana Santa in salita, vissuta nella “fatica della ripresa”.
L’esperienza del contagio da Covid, anche per il parroco di Brentonico non termina con la guarigione sancita dalla negatività al tampone. “Mentre ero in ospedale riflettevo spesso su un brano del Vangelo in cui si racconta di uno spirito impuro che entra nella casa e quando se ne va la lascia ‘vuota, pulita e adorna’: così il virus, malvagio e invisibile entra nella tua vita e la ripulisce di tutto, di quello che è buono ma anche di quello che è cattivo, ti svuota, ti lascia solo e inerme, ma allo stesso tempo arricchito, anche grazie a tutte quelle persone mascherate delle quali non conosci nemmeno il nome ma che ti hanno curato con amore: quelle mani, quei discorsi, quegli occhi nei quali ho trovato segni di resurrezione”.
Le relazioni non devono restare solo la roccia solida alla quale ci si aggrappa nei momenti difficili, ma anche quella rete da ritessere per ripartire, per “essere uomini, umani, non personaggi ma persone. Lo dico da parroco – continua don Mezzi – quando ricominceranno le attività dei gruppi, quelle della catechesi, non dovrà esserci più solo la Chiesa che insegna, che dà i sacramenti, ma anche una Chiesa capace di offrire, di aspettare la maturazione della comunità, che sa di avere in Gesù un grande dono da non sprecare e da far apprezzare e conoscere anche a coloro che dalla Chiesa sono magari anche un po’ lontani. E ai giovani dico: donatevi, riscoprite queste relazioni vere e sincere, non vivete alla giornata ma guardate al futuro senza chiudervi in voi stessi”.
Durante il ricovero in ospedale don Mezzi ci racconta di essersi sentito spesso con l’arcivescovo Lauro con il quale ha condiviso il periodo di malattia. “Ci confrontavamo sull’evoluzione della malattia e ci consolavamo a vicenda”, conclude don Luigi. “Ci siamo sentiti sulla stessa barca, sapendo che non era bucata perché su quella barca, assieme a noi, c’era Gesù”.
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