Piedicastello, la piazza che non c’era

Ponte San Lorenzo e la chiesa di Sant’Appollinare
Piedicastello ha resistito alle scelte urbanistiche degli ultimi decenni, ancorandosi alle tradizioni più antiche portate avanti da una comunità coesa. E domenica scorsa, al termine dei lavori durati un anno mezzo, si è presentato alla città completamente rinnovato

Dal centro storico, Piedicastello si raggiunge in una decina minuti di camminata a buon passo. Eppure, talvolta, capita di sentirsi periferia anche a poche centinaia di metri dal cuore cittadino. Se la geografia, storicamente, non ha facilitato i collegamenti – incastonata com’è l’antica borgata tra il fiume Adige e il Doss Trento – le scelte urbanistiche degli ultimi decenni hanno fortemente contribuito ad accrescere il disagio della popolazione.

Lo scorrere del tempo aiuta a rimarginare le ferite, ma se mancano le opere concrete, tangibili il pericolo è quello di un lento e svogliato adattamento alla situazione, rischiando poi di sfociare nello spopolamento e nel degrado.

Piedicastello, però, ha saputo stringere i denti, è rimasto vivo ancorandosi alle tradizioni più antiche portate avanti da una comunità coesa, aspettando pazientemente il momento di riconciliarsi con la sua anima più profonda. Più vera.

Diverse le tappe, raggiunte con la volontà e la determinazione che da sempre hanno contraddistinto i pedacasteloti, come sono chiamati i suoi abitanti. L’ultima, ma solo in senso temporale viste le sfide future che attendono in quartiere, domenica 11 novembre, giorno in cui si celebra san Martino, con l’inaugurazione dei lavori della piazza. Un anno e mezzo di cantiere sorvegliato dal gioiellino antico di Sant’Apollinare, che hanno riconsegnato agli abitanti un ampio luogo unico pedonale senza più barriere che permetterà, a questo punto non soltanto più nelle intenzioni progettuali, di recuperare quella vivibilità perduta e, appunto, riconquistata un passetto alla volta.

“Un intervento doveroso, atteso. Ci aspettavamo qualcosa anche perché, storicamente, Piedicastello è sempre stato un rione maltrattato: basti pensare che è stato l’ultimo di tutta la città ad essere asfaltato”, racconta William Menestrina, classe 1945, una delle memorie storiche del quartiere, in cui è nato e tuttora abita.

Cominciava a scoprire il mondo con la curiosità di bambino, William, quando il ponte di San Lorenzo veniva ricostruito. Dopo il bombardamento del 1943 i pedecasteloti erano dovuti risalire sulle zattere, storica espressione della borgata, per passare quotidianamente da una parte all’altra dell’Adige. “Ricordo quel fiume dove le lavandaie andavano a lavare i panni, un fiume amico che ci ha sempre risparmiato”, commenta Menestrina. “A darci i problemi maggiori è sempre stato, invece, il Rio Scala che scende da Sardagna”.

Nei suoi racconti si intrecciano i ricordi di vita quotidiana, di personaggi storici, di bambini che trascorrevano le loro estati all’aperto, stupendosi del rombo dei motori delle poche auto che attraversavano il quartiere. “Abitavamo nelle case attorno alla piazza e quello era il nostro spazio per giocare, quelli di via Verruca, Marco Apuleio e Casa dei Gai avevano il loro. Non li vedevamo mai, tranne quando la domenica ci ritrovavamo a Messa, tutti insieme”, sorride William.

Poi il paese cambia, si trasforma. Inevitabilmente. Gli anni Settanta arrivano in fretta, il fiume amico si allontana, la comunità sotto il Doss Trento comincia a fare i conti con i lavori della strada che permetterà di spostare il traffico dalle vie della città, in pieno boom demografico. Piedicastello resiste, protesta, ma non può fermare gli espropri e la costruzione della tangenziale che spaccherà in due il quartiere, continuando a rappresentare una barriera anche dopo la modifica del tracciato e la riconversione delle gallerie in luogo di memoria.

Fumano i tubi di scarico delle auto, sbuffano per l’ultima volta le ciminiere dell’Italcementi. È il 1976, l’inizio di un lento ma inesorabile declino per la fabbrica costruita a inizio Novecento, della quale oggi restano soltanto quelle due sentinelle orgogliose e un’estesa superficie in cerca di destinazione.

Menestrina, in una poesia intitolata “L’oro de tut l’an” ricorda con nostalgia “el modo de viver e de trovarse a Pedacastel”, quando “la piaza la brulicava de zent e le finestre de le case l’era tut oci averti”. Ne leggiamo i versi seduti sulla panchina a pochi metri dalla fontana, sorvegliati da Sant’Apollinare. Nella piazza tornata al suo affascinante aspetto di un tempo. E che aspetta solo di riempirsi.

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