Il Colonnello Tullio Marchetti., la spia venuta dal freddo

Esce nei prossimi giorni a cura dell’Associazione Culturale “Il Chiese” il nuovo libro Colonnello Tullio Marchetti. Fatti, Uomini e cose delle Giudicarie nel Risorgimento (1848-1918). Si tratta della riedizione, in collaborazione con l’Editrice Rendena, del testo scritto 94 anni fa dal generale degli alpini Tullio Marchetti, originario di Bolbeno, corredata da una prefazione del professor Vincenzo Calì, da un capitolo dedicato alla biografia dell’autore e da indici curati dallo storico locale Giacomo Radoani.

La pubblicazione desta ancora oggi interesse perché si configura non solo come una “ricognizione storica e geografica delle Giudicarie”, come scrive nella premessa il Presidente dell’associazione “Il Chiese”, Gianfranco Giovanelli. “Ma è documento in cui moltissime famiglie possono ritrovare, nelle pagine fittissime di nomi e cognomi (con l’indicazione della professione, spesso dello ‘scotùm’ e del villaggio di provenienza), un conoscente o un antenato”. Tullio Marchetti, attraverso quest’opera, sottolinea ancora Giovanelli, ha voluto donare a tutti i suoi lettori “informazioni riservate, segrete, a volte irriferibili (almeno ai suoi contemporanei), dimostrando così come egli abbia realmente e sinceramente concepito e attuato il suo lavoro come ‘servizio’ alla propria Nazione”.

Ma in cosa consisteva di fatto questo suo servizio? La risposta sta nelle stesse scelte di vita del Marchetti, una vita che vale la pena ripercorrere.

Il papà Andrea Marchetti, la cui famiglia era di Bolbeno, dopo aver studiato legge a Vienna e aver perfezionato la professione di magistrato a Innsbruck e Bolzano, in seguito alla delusione di non vedere nel 1866 ritornare il Trentino all’Italia, si era deciso a servire la pubblica amministrazione italiana prima a Brescia, quindi a Firenze e da ultimo a Roma. Qui nel 1871 era nato Tullio.
La famiglia tornava tuttavia tutte le estati a Bolbeno (l’Italia allora era alleata dell’Austria e della Germania nella “Triplice Alleanza”). “Tullio ne era innamorato”, ribadisce Radoani.

Da giovane il nostro, dopo aver frequentato il liceo, si era iscritto all’Accademia Militare di Modena. Da qui col grado di sottotenente nel 1891 aveva raggiunto il 5° Reggimento degli Alpini a Milano e la “Compagnia Edolo”. L’anno seguente, rovistando in un cassone dell’archivio, aveva trovato una serie di schizzi e carte topografiche dei forti della zona, come Lardaro e altri forti austriaci, stilati da un capitano, anch’esso d’origine trentina, di nome Adami.

In linea con il vissuto di una famiglia di fedeli irredentisti (uno dei capi della rivolta irredentista trentina del 1848 era suo zio Giacomo Marchetti), Tullio scoprì in quel momento la sua vera missione.

Avendo il privilegio di entrare nel territorio dell’impero austroungarico tutte le estati, Marchetti poteva osservare di persona lo stato delle cose e avere informazioni di prima mano. Decise perciò di entrare senza indugio nel SIM – Servizio Informazioni Militari, dove operò come informatore per ventotto lunghi anni.

Da questo suo servizio Marchetti ricavò le annotazioni che si ritrovano nel libro circa tutti gli irredentisti imprigionati o portati a Katzenau, come anche molti informatori giudicariesi con cui collaborerà fino al 1918. In quell’anno Marchetti, ormai colonnello, ricevette la maggior ricompensa possibile per il suo importantissimo lavoro. Il 29 ottobre, al termine di una ricognizione sul Monte Baldo, venne infatti chiamato dal suo comando di Verona e inviato immediatamente a Padova dal Generale Diaz. Questi, racconta Radoani, lo invitò a far parte della delegazione per le trattative dell’armistizio con l’Austria che stava capitolando, “in quanto ‘pagina vivente sul Trentino e l’Alto Adige’, per premiarlo per il lavoro umile e nascosto prestato in tutti quegli anni e dargli la soddisfazione di firmare da ‘trentino’ la redenzione della propria terra d’origine”. Due anni dopo Marchetti chiese di essere messo in aspettativa e tornò a vivere a Trento, dedicando il suo tempo a stendere questo e altri due libri di memorie. Nel 1926 venne nominato generale e nel 1933 andò in pensione. Dal 1943 passò infine il resto della sua vita a Bolbeno.

“Noi non abbiamo una storia delle Giudicarie con annotazioni organiche che riguarda il periodo del passaggio di queste zone all’Italia – è la considerazione finale di Radoani. Qui ci sono invece moltissime notizie di accadimenti e tentativi insurrezionali interessantissimi. Un motivo in più per leggere questa nuova pubblicazione”.

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