Il piano attuativo per il Linfano è l’ultimo tassello di una storia urbanistica che parte dagli anni Settanta e Ottanta. Su quella striscia di terra arcense che si insinua tra il territorio torbolano e quello rivano (col biotopo del Monte Brione immediatamente ad ovest) si concentrano da sempre gli interessi di una certa imprenditoria.
Lo chiamavano “Arcoporto” negli anni Ottanta ed era un progetto multimiliardario che doveva trasformare quelle ultime campagne – tra l’altro ora celebrate per il broccolo di Torbole – in una grande marina con servizi portuali, turistici e residenziali di primo livello. Il mega progetto rimase nei plastici ma anche negli anni successivi non sono mancati interessamenti all’area con diverse modificazioni delle previsioni urbanistiche sia da parte del Comune che di Comprensorio e Provincia.
In tutto questo si inserisce l’Amsa, la società interamente controllata dal Comune di Arco, che ha acquistato i terreni a nord della statale molti anni fa e ora vorrebbe farne qualcosa. Cioè un piano attuativo che dovrebbe portare alla realizzazione di una sorta di “villaggio turistico diffuso” con un modesto impatto ambientale e con una serie di interventi a catena: lo spostamento del parcheggio attualmente sul lungolago nella nuova area, la riqualificazione dell’esistente campeggio (di proprietà Amsa), il riordino dell’area che ospita il Circolo Vela Arco. Il tutto grazie ad una previsione urbanistica che – nonostante reiterati interventi legislativi – consente di edificare 30 mila metri cubi in quella zona.
Da ormai alcuni mesi sul tema si è scatenata una polemica vivace – anche a suon di manifesti e locandine – con sei associazioni (Wwf,” Italia Nostra”, “Comitato salvaguardia olivaia”, “Comitato sviluppo sostenibile”, “Amici della Terra” e “Riccardo Pinter”) che chiedono a gran voce che l’area agricola rimanga così com’è, respingendo ogni ipotesi edificatoria.
Il piano dovrà essere ora riapprovato dal consiglio comunale arcense e l’amministrazione ha precisato, nell’incontro dell’altra sera, che le volumetrie previste sono circa la metà di quelle possibili: 16 mila metri cubi. Con costruzioni ad impatto contenuto (tipo bungalow) ed effetti positivi anche sulla vivibilità della fascia lago.
Ma dopo decenni di sviluppo urbanistico – con criticità evidenti per alcuni interventi del passato – l’opzione “cemento zero” non sembra più solo uno slogan, ma un sentimento sempre più diffuso in tutto l’Alto Garda.
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