Anni Settanta. Carnevale. A Brione un gruppo di ragazzini tirano il “Babàcio” sulla slitta per il fieno per i vicoli di Brione.
Il Babàcio era un pupazzo di paglia vestito con un paio di pantaloni, una giacca, un cappello piuttosto dimessi e scarpe rotte, che i ragazzini preparavano in gran segreto in una stalla i giorni precedenti il Carnevale. Il giorno del Martedì grasso i ragazzi e le ragazze di Brione lo trascinavano quindi per le vie del paese accompagnandolo con le filastrocche “Polenta e cospitoni (aringhe) e formai se ghen sarà. Evviva, evviva el Carnaval!” e “Carità, carità padroni a sto povero pellegrin. Pellegrin che vien da Roma, scarpe rotte, fan male i piè. Evviva, avviva el Carnaval!”.
Contemporaneamente raccoglievano tra i compaesani offerte in formaggio, farina gialla e burro, e magari soldi, per avere gli ingredienti necessari a fare la “polenta carbonèra” di Carnevale: si dice che quella di Brione fosse la migliore della zona…
I bambini per parte loro portavano un po’ di legna ciascuno. Il tutto veniva quindi ammassato in una vecchia cucina dove si lavorava di solito il latte. Qui alcuni uomini volenterosi cuocevano la polenta per tutta la popolazione, polenta che veniva poi consumata in grande allegria all’aperto effondendo tutt’attorno un profumo invitante di cibo mentre qualche maschera adulta rendeva più allegra la festa con balli e scherzi.
Lascia una recensione