L’aula di palazzo Madama, martedì sera in tv al posto de “L’eredità” paciosa di Flavio Insinna, sembrava un covo brulicante di tensione: sotto il palco c’era l’unico assembramento oggi non sanzionato, quello dei senatori, lì come contradaioli al Palio di Siena.
Quell’emiciclo, simbolo dell’unità nazionale, appariva come un ovale schiacciato, specchio purtroppo deformato del nostro Paese. Il prevalere di una contrapposizione caotica da “resa dei conti” è sproporzionato rispetto ai calcoli di questo logoramento da pandemia ancora virulenta.
Secondo le migliori previsioni, solo nel 2026 il nostro Pil riuscirà a tornare al di sopra del valore al quale eravamo a dicembre 2019. Già, nessuno voleva la crisi di governo in un Paese già in crisi, con ammortizzatori e ristori che non dureranno all’infinito. È il Next Generation europeo che esige risposte da un’Italia affidabile. “Per tutto ciò non basta trovare il voto di qualche parlamentare più o meno “responsabile” – ha scritto Francesco Riccardi su Avvenire – I veri “responsabili” sono stati gli italiani che sinora hanno in larghissima maggioranza rispettato le restrizioni sanitarie, e questo anche se la loro condizione si è fatta precaria, persino drammatica”.
Con una maggioranza risicata i nostri parlamentari non sentono il rischio di un’involuzione ulteriore della crisi? La maggioranza dell’opinione pubblica – premiando nei sondaggi un Conte volenteroso di mediazioni e azzoppando un Renzi che preferisce morire da Sansone con tutti i Filistei – chiede stabilità sufficiente, da “patto di legislatura”.
Non è missione impossibile. Ne hanno dato prova due senatori a vita. Liliana Segre che non ha fatto mancare il suo voto, beccandosi la battutaccia di Salvini che citava Grillo: “I senatori a vita non muoiono mai. O muoiono troppo tardi…”. E poi Mario Monti che dopo aver ascoltato con pazienza Conte ha scelto però di dare anche la sua fiducia, convinto dall’ancoraggio all’Europa, per evitare una deriva populista e nazionalista.
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