Il teatrino della politica si appassiona agli scontri tra i partiti, ma è uno spettacolo per pochi amatori del genere. L’opinione pubblica è giustamente inchiodata a cercar di capire come ce la caveremo con questa pandemia, visto che le direttive del governo sono alquanto confuse e non si dispone di cifre ragionevoli per capire cosa stia succedendo. Prendete un esempio banale: il rapporto tamponi/positivi che va su e giù in continuazione. Non sappiamo però se i tamponi vengano fatti con una certa larghezza anche a persone che non presentano sintomi, oppure per lo più solo a persone che li presentano: in questo caso è ovvio che le percentuali crescono rispetto ai sondaggi su un campione più largo.
Comunque sia manca una strategia di comunicazione da parte del governo. Mentre sui canali televisivi impazzano virologi e assimilati, ciascuno con le sue tesi, il governo non è capace di concentrare il compito su una sola sorgente, così abbiamo la sottosegretaria dalla faccia truce che fa la maestrina severa, il viceministro che esprime dubbi sul buon funzionamento del ministero, politici di varia caratura che intervengono più o meno a capocchia. Giudicate voi se sia un buon modo per gestire lo spirito pubblico in un momento tanto delicato.
Nel frattempo nel disinteresse più ampio il parlamento affronta il tema cruciale della legge di bilancio, una cosetta da più di 210 articoli, in cui tutti cercano di infilarci sussidi per la propria lobby: dai corsi di jazz ai licei, ai rubinetti anti spreco, e avendo tempo si potrebbe andare avanti con questo curioso elenco di bonus e mancette. Il tutto finanziato secondo alcuni calcoli al 86,6% in deficit. Giusto quello che ci vuole in vista di una tempesta economica che rimodellerà il nostro panorama. L’ha spiegato benissimo Mario Draghi alla testa di un gruppo di studio di 30 autorevoli economisti e sarebbe meglio che lo si ascoltasse invece di perdere tempo ad invocarlo come il messia salvatore, senza peraltro avere nessun desiderio che arrivi davvero.
Ci si concentra invece sulla crisi di governo, che c’è, ma non si capisce bene quale sia né che conseguenze potrà avere. In sostanza si fronteggiano due letture. La prima, che si può far risalire a Franceschini, suona così: la crisi di governo è impossibile, se salta questo si andrà ad elezioni anticipate. Non spiega però come si possa fare un simile salto nel buio, visto che si dovrebbe votare con un paese incattivito dall’esperienza della pandemia, con una legge elettorale ingestibile per via della revisione dei collegi obbligata dal taglio dei parlamentari e per il mix di maggioritario e proporzionale. Per questo arriva la seconda lettura proposta da Renzi: proprio perché le elezioni sono di fatto quasi impossibili, il parlamento troverà modo di mettere in piedi a qualsiasi costo un nuovo governo.
Già, ma come? Maggioranze politiche alternative a questa non ce sono, e rimescolare le carte fra gli stessi partiti è come fumare una sigaretta in un deposito di munizioni. Una larga maggioranza di solidarietà per fare un governo “tecnico” non la vuole quasi nessuno. Persino Berlusconi ha messo l’alt e lo si capisce. Per quale ragione dovrebbe lasciare spazio ad un governo tecnico che potrebbe far bene, gestire efficacemente i 209 miliardi in arrivo dalla UE e magari accreditarsi a livello internazionale visto che dovrà presiedere per un anno il G20? Sarebbe qualcosa che allontana le possibilità di riscossa sue e del centrodestra. Meglio un governicchio Conte eternamente in bilico che si può costringere a venire a patti su punti di proprio interesse (e l’abbiamo già visto).
Dunque al momento si procede sulla via del rabbercio, e pazienza se le toppe si vedono anche troppo. Conte vuole durare e dunque sembra disponibile a lasciar cadere le sue fughe in avanti per un ruolo di dominio a cui non poteva aspirare. Il PD è preoccupato per le prossime amministrative in cui vuole a tutti i costi provare a presentarsi in tandem coi Cinque Stelle e se possibile anche con LeU. M5S non vuol perdere le poltrone ministeriali. Solo Renzi è inquieto perché il suo progetto non decolla, essendo troppo egocentrico ed essendo insidiato da Calenda, Bonino e altri. Per questo prova ostinatamente a far saltare il banco, ma oltre certi limiti non gli conviene spingersi e dunque è probabile che se vede una d’uscita ci si infili.
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