Ventidue anni dopo, un “predatore” (Prowler) dei marines che si esercitava per la guerra elettronica nei cieli della Bosnia, portò nuovamente la morte nei cieli di Cavalese. Venti le vittime nel vagoncino della funivia scagliato di là dall’Avisio dopo che il velivolo militare, a bassa quota, aveva tranciato i cavi ai quali era sospesa la vita di venti innocenti.
Accadde alle 15, passate da poco, del 3 febbraio del 1998. E in fondo alla valle, che aveva già vissuto analoga strage, il ruggito del predatore dei marines, ormai lontano, si spegneva in un silenzio di morte.
L’aereo tornò alla base militare di Aviano, in Friuli, sia pure un po’ ammaccato, ma con l’equipaggio in buone condizioni. Tanto buone che due dei quattro piloti, prima di lasciare il velivolo avevano avuto la prontezza di distruggere il filmato del registratore di bordo.
Per quella “ostruzione al corso della giustizia” Richard Ashby e Joseph Schweitzer furono poi condannati dalla corte marziale dei marines a Camp Lejeune, nella Carolina del Nord. Non per i venti morti, ma per aver distrutto un filmato. Sei mesi di condanna per ostruzione al corso della giustizia e radiazione dal corpo dei marines.
Gli atti che seguirono portarono al rimborso record di 4 miliardi di lire per ognuna delle vittime, e ad una commissione parlamentare d’inchiesta sul disastro.
Nel frattempo, ci fu la guerra nei Balcani (per la quale i gemelli del “predatore” del Cermis si dimostrarono utilissimi nei voli a bassa quota), la funivia fu sostituita da una cabinovia, meno slanciata sulla valle, più sicura di quei cavi aerei sulla gola.
E i morti?
Un monumento di porfido li ricorda nel parco della Pieve, nel nuovo cimitero. Tra le vittime vi fu anche Marcello Vanzo, di Masi di Cavalese. Una Spoon River replicata, allestita come un giardino in faccia alla valle.
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