Comunque vada, la sfida elettorale per la presidenza degli Stati Uniti 2020 non si fermerà alla semplice lettura dei risultati definitivi.
Alla grande tensione che ha caratterizzato il periodo pre-voto, una volta chiuse le urne si sono immediatamente aggiunte le schermaglie tra i due candidati, con il presidente uscente Donald Trump che a spoglio ancora da terminare si è già proclamato vincitore ed ha accusato l’avversario di frode, minacciando di ricorrere alla Corte suprema. Lo sfidante Joe Biden, forte di un ampio vantaggio nel voto popolare ma soltanto di pochissimi grandi elettori, continua con ottimismo a considerarsi davanti, anche se gli Stati in bilico, che dopo la conta dei voti arrivati per posta risulteranno decisivi, inizialmente sembravano dare ragione a Trump.
Ancora tante le incognite e partita ancora aperta quindi, ma quello che è certo è che mai come questa volta gli Stati Uniti si ritrovano ad affrontare il loro futuro così spaccati in due fazioni, e che comunque andrà le tensioni accumulate dalla forte radicalizzazione dello scontro politico in atto rischiano di esplodere.
“C’è un clima surreale”, ci racconta Luca Dorigatti, imprenditore trentino emigrato a San Francisco ormai da 29 anni, dove è coordinatore per gli Stati Uniti dell’Ovest dell’associazione Trentini nel Mondo, che abbiamo raggiunto telefonicamente proprio nel giorno delle elezioni. “Qui le grandi aziende hanno protetto le loro vetrine per prevenire le proteste, anche violente, che potrebbero accendersi dopo le elezioni, indipendentemente da chi sarà il vincitore”, ci spiega, facendo riferimento all’anno particolare vissuto negli States, “tra la pandemia e le manifestazioni del movimento Black Lives Matter, sfociate in scontri e violenze, soprattutto da parte delle forze dell’ordine nei confronti della popolazione di colore, è stata una fase che ha portato a grandi tensioni sociali”.
Un contesto non semplice, dal quale le elezioni non sono slegate, aggiunge Dorigatti: “Trump nei suoi anni di presidenza invece di agire da leader si è rivelato un fomentatore di ulteriori divisioni, ed oggi questo clima si respira semplicemente andando in giro. È una sensazione strana, che non ho mai percepito in quasi 30 anni che vivo qui, e temo possa non avere un esito positivo”.
Dorigatti non si sbilancia su chi potrà avere la meglio: “Fino a prima che Trump prendesse il Covid avrei scommesso su una sua rielezione, ma per come ha gestito male la sua malattia, ora penso che, seppure con un margine risicato, potrebbe prevalere Biden. Ma la storia ci insegna che alle elezioni statunitensi fino all’ultimo non si può mai dire”. All’imprenditore originario di Trento appaiono decisamente più chiari gli scenari che in base all’esito del voto potrebbero aprirsi: “Se venisse rieletto Trump prevedo un ulteriore inasprimento delle tensioni e delle divisioni a livello civile, mentre sul fronte finanziario ci sarà un’apertura verso la Cina, con cui ha capito che è inutile farsi la guerra. Dal canto suo non credo che Biden abbia la personalità per fare la differenza, né a livello interno che internazionale. Lo vedo come un presidente “filler”, tappabuchi, anche se tra i due candidati alla fine forse potrebbe essere il meno peggio”.
Continuità o male minore, bivio comune a molte competizioni elettorali, ma che raramente può avere un impatto così determinante a livello globale come accade per la scelta del presidente degli Stati Uniti. Sui 200 milioni di voti espressi l’ultima parola arriverà per posta o dalla Corte suprema? Non resta che provare ad essere ottimisti.
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