Inutile girarci intorno, il momento è molto difficile. Dipende tanto dalla recrudescenza della presenza del virus che è un fenomeno di dimensioni mondiali, quanto dalla debolezza della nostra situazione politica, incapace di trovare la coesione necessaria per affrontare l’emergenza.
In un contesto che per decenni ha abituato a considerare ogni situazione individuale un “diritto” che di conseguenza andava tutelato dallo stato, mentre per converso si sosteneva che tutto era opinabile, che ogni alzata d’ingegno doveva essere accettata per buona (tanto tutto era un complotto di poteri forti), è diventato difficile governare quello che una volta si chiamava lo spirito pubblico. Così ci troviamo immersi in una specie di conflitto di tutti contro tutti, conflitto che per di più sta lasciando spazio all’esplosione di quelle violenze che sempre esistono nelle viscere profonde di ogni società.
La politica di fronte ad un aumento dei contagi in una misura allarmante non è stata capace di generare né una guida autorevole, né una coesione nazionale per l’emergenza. Lo sconcerto per l’impossibilità di giungere alla seconda ha generato in molti ambienti delle classi dirigenti il solito argomento per cui allora è meglio far blocco sul poco che abbiamo, cioè su Conte e il suo governo. Continuiamo a non essere convinti che sia un bel modo di ragionare, anche se va riconosciuto che non si saprebbe come trovare a breve una diversa soluzione, il che però non trasforma quella che c’è in una buona soluzione.
Le divisioni all’interno della maggioranza permangono e vanno anche al di là degli impeti corsari di Renzi, che fiuta la crisi e vuole trovarsi preparato all’evenienza. Le opposizioni, con l’eccezione di Berlusconi (più che di Forza Italia che è abbastanza allo sbando), non riescono a fare marcia indietro rispetto alla scelta sfascista che hanno fatto e che le obbliga a rincorrere tutte le insoddisfazioni che percorrono il paese senza peraltro avere soluzioni da offrire. Il risultato per il momento è nel tentativo di conquistare un po’ di pace e consenso sociale distribuendo sussidi: una mossa obbligata nell’immediato, ma che non porterà a soluzioni per quando non ci saranno più soldi da distribuire. Oltre tutto sono interventi a debito e i debiti si pagheranno: diciamolo a quelli che vaneggiano sullo “stigma” che ci verrebbe se usassimo il MES, e non si rendono conto che lo stigma già ce l’abbiamo addosso per la situazione della nostra finanza pubblica.
La tentazione in questa fase è di cercare di congelare lo scontro politico. L’on. Giorgetti, che è il dottor sottile della Lega, propone una ricetta semplice: accordiamoci per riconfermare Mattarella al Quirinale, così sbarazziamo il campo dagli intrighi per la sua successione, e poi andiamo subito a votare, così ci contiamo una volta per tutte. L’ipotesi non è banale, ma presenta qualche incognita. La prima è che la proroga dei settennati non funziona. Napolitano è stata un’eccezione dovuta ad una grave crisi, ma è stata solo una breve parentesi. Altre volte si era provato in questa direzione, la più importante fu nel 1984 il tentativo di confermare Pertini, ma anche quella volta non finì bene: non solo non venne riconfermato, ma l’elezione di Cossiga segnò l’inizio di una fase di crisi della repubblica dei partiti.
La seconda questione è che non si sa quanto possa tenere una tregua politica con in mezzo un passaggio delicato come le elezioni comunali della prossima primavera in alcune grandi città che sono chiave non solo per valutare la capacità competitiva del centrodestra, ma molto più per testare se i Cinque Stelle riescono ad uscire dal loro marasma attuale e come.
Insomma, il tema fondamentale rimane se e come si possa riuscire a dotare il paese di una guida accettabile. Conte non si sta dimostrando all’altezza: non ha leadership sulla sua maggioranza e non riesce a tenere le redini della risposta all’epidemia. I problemi sono complicatissimi e siamo i primi ad essere infastiditi dal fiorire di ricette semplicistiche che non tengono conto di un sistema corroso negli anni per cui le leve di intervento sono a dir poco arrugginite. Tuttavia, non se ne esce senza chiamare il paese a prendere coscienza di questo degrado e senza fare qualcosa di emblematicamente incisivo per intervenire: bisogna sostituire personaggi non all’altezza, stroncare poteri di veto impropri, richiamare in servizio un po’ di “riserve della repubblica”.
Solo così si può provare a ricostruire la coesione nazionale e la fiducia nel futuro.
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