C’è un filo rosso che lega tre spunti emergenti dalle attuali vicissitudini dell’economia. Il primo lo offre il prof. Leonardo Becchetti (Avvenire, 15 ottobre) che ritiene fattibile e sensato il condono di porzioni di debito nazionale da parte della BCE. Sarebbe manna dal cielo per la nostra finanza, che il direttore del Festival dell’Economia civile riterrebbe plausibile soltanto per le circostanze eccezionali della pandemia e in subordine al controllo dell’inflazione, benché attualmente sopita. In altre parole – chiarisce – non un «libera tutti» per ogni ardore di spesa pubblica, ma un circoscritto «esperimento di condono».
Il secondo spunto è la dichiarata volontà del Presidente Maurizio Fugatti e della Giunta provinciale di ricorrere all’indebitamento per dare una sferzata a un’economia depressa. A questo fine è in atto il confronto con le parti sociali e le forze politiche. Anche le virtù finanziarie della Provincia vanno dunque messe in gioco. La cifra ipotizzata (300 milioni?), viste le dimensioni e lo stato di salute della finanza dell’autonomia, può definirsi «circoscritta».
Il terzo spunto si ricava dai dati divulgati da ISPAT sugli effetti del lockdown. In Trentino sono state «sospese» nei settori dell’industria e dei servizi oltre 22 mila unità locali (sedi operative delle imprese) su 45 mila, corrispondenti a 69 mila addetti su 172 mila. Il 40 per cento di questi ultimi è stato dunque bloccato per settanta giorni. Un po’ più alto il dato nazionale (44%). Rapportato all’intero anno, il peso complessivo del lockdown sull’occupazione nelle imprese trentine risulterebbe pari all’8 per cento del totale, corrispondente a circa quattordicimila addetti: una «pattuglia» superiore a quella degli attuali disoccupati (12.600), ad indicare lo spessore dell’emergenza lavoro. Se a ciò si aggiungono certe stime sul previsto calo del PIL a doppia cifra per il 2020, si ha una realistica idea dell’eccezionalità della situazione.
Questi spunti gettano sul debito pubblico una luce del tutto diversa da quella prevalente fino allo scorso anno: da macigno sul futuro (anche su Vita Trentina lo abbiamo definito così) a necessario strumento antirecessivo. Una riabilitazione che ringalluzzisce i critici dell’austerità, ma che esige cautela, sui volumi in gioco e sul loro utilizzo. Se lo stress da Covid fosse pari, ad esempio, al 10 per cento del PIL, da colmare con interventi pubblici finanziati con prestiti, si tratterebbe per l’Italia di 180 miliardi (di cui 2 per il Trentino), senza contare gli effetti moltiplicativi. Invece, fra aumento del debito già intervenuto negli ultimi mesi (si è superata la quota di 2.500 miliardi) e piani futuri, stanno già girando cifre superiori. Cifre di cui si parla con eccesso di ottimismo, anche rispetto all’allettante prospettiva del condono evocata dal prof. Becchetti (se venissero cancellati 180 miliardi di debito italiano, ne resterebbero altri duemilatrecento, e saremmo daccapo).
In altre parole c’è il rischio che l’eccezionalità del debito si trasformi in euforia del debito, con relativi interventi alla rinfusa. Sarebbe perciò opportuno che quanto si intende finanziare con risorse prese a prestito, se non a un’esclusiva da Covid, rispondesse almeno a una ragionata griglia di priorità, a una seria valutazione degli investimenti programmati, a una chiara idea del loro potenziale di crescita e a una conseguente rigorosa selezione. Il contrasto alla pandemia richiede politiche mirate. E questo vale anche per il Trentino
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