Se la prima ondata della pandemia aveva regalato a Conte un sussulto di visibilità e di credibilità, la seconda al momento la sta erodendo decisamente. La colpa principale è dell’essersi affidati del tutto alla “narrazione” (quello che gli addetti ai lavori chiamano lo storytelling). Per contenere le preoccupazioni della primavera si era lasciato credere che si trattasse di concentrarsi su un grande sforzo passeggero per quanto duro e poi si sarebbe ricominciato più o meno come sempre, persino riuscendo a migliorare le nostre capacità. Non sta succedendo e ovviamente siamo al colpo di coda.
Quel governo che aveva polemizzato con il para-federalismo preteso dalle regioni, oggi cerca disperatamente di trovare l’accordo con loro lasciando ad esse il compito di prendere le decisioni più impopolari. Ma soprattutto Conte e i suoi ministri mostrano una carenza di visione generale che diventa sempre più evidente. Prigionieri dei battibecchi dei partiti, su cui torneremo, premier e titolare dell’Economia hanno perso l’occasione della legge di bilancio per mostrarsi all’altezza della situazione. Era lì infatti che si sarebbero potute misurare le capacità di reagire alla situazione.
Invece la bozza della legge di bilancio è un elenco di interventi tampone contro le sofferenze indotte dalla seconda ondata, un cedimento a qualche bandierina dei partiti di maggioranza, e un nebuloso rinvio all’arrivo dei fondi del Next Generation EU, per cui non si dispone di uno straccio di piano articolato di utilizzo (titoli generici per ambiti molto vasti non sono piani, sono prese in giro). Con la prospettiva di dover affrontare un inverno rigido non solo sul piano climatico, era lecito aspettarsi qualcosa di meglio, anche se non si pretende la perfezione.
Purtroppo i partiti sono prigionieri dei loro giochetti e delle loro reciproche idiosincrasie, tanto quelli della maggioranza quanto quelli dell’opposizione. In questo contesto sembra quasi miracoloso che nella regione Lombardia si sia riusciti a decidere per misure di contenimento piuttosto dure con il concorso non solo di governo regionale e sindaci di diverso colore, ma anche di tutte le forze politiche rappresentate nel Consiglio regionale. Dovrebbe essere un esempio per il paese, anche se frutto di quanto appreso nella gestione piuttosto confusa della prima fase dell’epidemia.
Tutt’altro clima a Roma. Le opposizioni si lamentano giustamente del disinteresse del governo a coinvolgerle, ma pretendono che ciò avvenga semplicemente come un riconoscimento delle loro richieste piuttosto improbabili (sono contente solo quando, un Conte distratto si pronuncia avventatamente contro il ricorso al Mes, loro cavallo zoppo di battaglia). Nella maggioranza non si riesce ad uscire dalla sudditanza ai Cinque Stelle, nonostante si moltiplichino le prove della loro inadeguatezza. Basterebbe vedere come sta andando la vicenda di Autostrade o quella dell’Ilva per capire a cosa alludiamo.
Zingaretti punta i piedi quando glieli pestano, ma poi fa buon viso a cattivo gioco e prende per buona la retromarcia di Conte sul Mes. Eppure quel dibattito è uno degli esempi di un modo assurdo di affrontare le emergenze: che senso ha infatti dire che si deciderà “dopo”, a comodo di M5S, quando stiamo vedendo che il mancato intervento nei mesi scorsi per mettere al sicuro il nostro sistema sanitario si paga adesso amaramente? E, diciamolo chiaro, il problema non è solo l’insufficienza nella risposta al Covid, ma il fatto che è andato in tilt il sistema complessivo per fronteggiare le molte patologie anche gravi (oncologiche, cardiovascolari, ecc.) che non sono certo sparite dalla circolazione.
I partiti sono troppo abituati a guardarsi l’ombelico. Basta considerare il surreale dibattito sulla scelta nel centrosinistra del candidato sindaco a Roma. Si possono avere opinioni diverse su Calenda, ma resta il fatto che è l’unico candidato di peso che il centrosinistra può mettere in campo per la guida della Capitale del paese. Invece si corre dietro alle ambizioni dei nanetti locali, ai risentimenti infantili contro “l’apostata”, alle stupidaggini di Bettini sulla necessità di non perdere il contatto coi Cinque Stelle che del centrosinistra non sono un valore aggiunto, ma una palla al piede.
Non è un bel clima in cui avviarsi a fronteggiare un nuovo tempo di crisi. Può anche darsi che il governo regga per mancanze di alternative percorribili, ma al prezzo di averlo sempre più logorato e compromesso anche nella sua credibilità minima.
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