Domenica 25 ottobre don Sergio Nicolli, parroco di San Marco e Sacra Famiglia a Rovereto, Trambileno e Vanza passerà il testimone a don Ivan Maffeis, che assumerà anche la guida delle parrocchie di Noriglio e Terragnolo. “Aiutatemi a volervi bene”, aveva detto don Nicolli assumendo l’incarico. Dopo 11 anni, tornerà nelle Giudicarie, la sua terra di origine – è di Sclemo -, dove sarà collaboratore di quella Zona pastorale. “Una staffetta che abbiamo voluto entrambi”, afferma don Sergio. Lo raggiungiamo al telefono mentre sta per salire in macchina. Il tempo per avviare il motore e attivare il vivavoce ed eccolo pronto a rispondere.
Don Sergio, ci spieghi questo gesto.
“Ci sembrava bello sottolineare che in questo passaggio di testimone al centro non è la persona, ma la comunità. Anche il vescovo Lauro, quando glielo ho comunicato, è stato entusiasta”.
Come dire, le persone passano…
“Certo, le persone vanno e vengono. Non conta il cambio della persona, che era lì per fare un servizio: conta la comunità”.
È una scelta condivisa?
“Sì, l’abbiamo deciso insieme”.
Lascia Rovereto in un momento segnato dalla crisi sanitaria, che è anche economica, dovuta al coronavirus. Quali sono stati in questi 12 anni i momenti più difficili?
“Mah, non saprei, così a caldo. Ho desiderato tanto fare il parroco, con tutto il cuore. A Roma, dopo i primi 5 anni alla pastorale della famiglia, ho accettato di proseguire solo per altri due: non volevo tornare in Trentino quando sarebbe stato troppo tardi per fare il parroco. E dopo 7 anni a Roma sono tornato”.
Ha evitato la crisi del 7o anno…
“Non immaginavo che sarei stato destinato a Rovereto. Io avevo sempre in mente Garniga (ride, ndr). Ci scherzavo, me l’aveva promesso il vescovo Gottardi, a suo tempo. Ho fatto il parroco volentieri”.
Difficoltà?
“Non mi vengono in mente. Momenti di fatica, sì. Ad esempio quando mi hanno affidato anche Trambileno… avevo già due parrocchie grandi. Ma in quelle piccole realtà con tante frazioni mi sono trovato benissimo, mi sono sempre sentito come a casa”.
Il rapporto con i collaboratori parrocchiali?
“Prima di arrivare a Rovereto, mi chiedevo se sarei stato capace di tornare a vivere la vita in comunità. Dopo i 15 anni con il vescovo Gottardi (di cui don Sergio era segretario, ndr) e i tre anni col parroco a Piedicastello, mi ero disabituato alla vita comunitaria. Invece mi sono trovato bene da subito, con don Alessio prima, con don Paolo e infine con don Daniel”.
Ora il ritorno a casa.
“Per me il contatto con la famiglia è sempre stato molto importante. È un luogo dove coltivo l’umanità. Mi aspettano mia sorella e quattro nipotini, che adesso diventeranno cinque”.
Non significa però che si metterà a riposo.
“Mi occuperò della pastorale familiare nelle Giudicarie”.
L’esperienza non le manca.
“È la pastorale che sento più congeniale. Non mi fa soggezione incontrare sposi, fidanzati e anche situazioni difficili”.
Come quelle incontrate a Rovereto, che l’hanno spinta ad avviare il Cantiere famiglia.
“Sono contento di aver avviato questa esperienza di attenzione alle famiglie che vivono difficoltà di tipo relazionale. Oggi è una realtà ben avviata, strutturata, con otto operatori e alcuni professionisti volontari”.
Cosa manca alla città di Rovereto per essere ancora più attenta alla famiglia?
“È vero che ci sono più famiglie in grosse difficoltà, ma devo dire che incontro anche famiglie e coppie di fidanzati che sono meravigliosi. Sto concludendo un itinerario con sette giovani coppie che hanno una voglia di lavorare ammirevole e un bel progetto di famiglia. Ce ne sono, non sono sfiduciato. Ma c’è bisogno di accompagnamento”.
Si spieghi meglio.
“Le famiglie non crescono da sole. Occorre stare loro vicini, avvalendosi non solo della presenza del prete ma anche di coppie che accompagnino in un pezzo di strada. È uno degli aspetti pastorali da curare di più. Vedo che con i giovani si riesce a lavorare se alle spalle c’è un’esperienza di famiglia e se ci sono percorsi di fede, fatti magari con la catechesi familiare o coi gruppi famiglia”.
Quanto è importante il dialogo tra Parrocchia e le altre realtà del territorio e le istituzioni?
“È vitale, non possiamo lavorare da soli. Certo, nel rispetto del ruolo di ciascuno e ognuno nel proprio campo. Ma la sinergia è fondamentale”.
Ci fa un esempio concreto?
“Il Fondo di solidarietà, che in tempi di crisi economica ha portato a sinergie straordinarie con il Comune, gli assistenti sociali, l’Itea, consentendo di dare risposta a fragilità di tipo economico, ma spesso anche relazionale. Ho avuto la fortuna di trovare una buona rete e un responsabile del Comitato esecutivo del Fondo come Graziano Manica. Oggi c’è una bella rete volontari che – d’accordo con la Caritas, naturalmente – sta lavorando molto bene. È la conferma che non possiamo lavorare chiusi nella realtà ecclesiale”.
Quest’attenzione al sociale è talvolta oggetto di critiche alla Chiesa, da parte di chi non ne sa vedere i risvolti pastorali.
“Le realtà più problematiche diventano luoghi di annuncio del Vangelo. Sono occasioni di relazioni molto forti e le relazioni oggi sono la risorsa principale della pastorale. Se provochi simpatia attorno alla presenza della Chiesa nella realtà sociale, avvicini molto anche chi pensa solo alla Chiesa di sacrestia”.
Rovereto è città con una storica presenza industriale, che oggi patisce la crisi. Che attenzioni dovrà avere chi le subentrerà?
“Rovereto ha risentito precocemente della crisi economica, a suo tempo. E ora subirà i contraccolpi della crisi post-Covid. Quando finirà la cassa integrazione e quando le aziende potranno tornare a licenziare, mi aspetto che molte famiglie resteranno senza lavoro. Sarà indispensabile pensare a questo ambito come qualcosa che interessa anche la Chiesa, non in sostituzione, ma in supporto alla realtà civile”.
Qualche ricordo particolare che porta via da Rovereto?
“L’idea di una città aperta, disponibile alle relazioni. I è Italiani a Roveredo, si sente la differenza con Trento! Se fai proposte con discrezione e attenzione alla dimensione umana ti accorgi che la gente si avvicina subito con una certa simpatia”.
Contrasti non ne sono mancati.
“Io non vado a cercare su Facebook le critiche, che ho avuto soprattutto in occasione dell’accoglienza dei profughi. Non mi lascio toccare. Ma generalmente ho trovato molta accoglienza a Rovereto, anche da parte dei media”.
Un augurio a don Ivan, che ci ha detto di essere “molto contento” di Rovereto?
“Che si senta accolto e amato e di vivere con serenità e con gioia la sua presenza in queste comunità. Gli ho detto che sono sicuro che, con il suo carattere e la voglia di incontrare la gente, si troverà sicuramente bene. Probabilmente aveva anche altre prospettive. Ma ha scelto di fare il parroco”.
Lascia una recensione