Diversivi per ingannare l’attesa

Ormai manca poco a martedì 22 quando si conosceranno i risultati non solo del referendum (quelli arriveranno già la sera del giorno prima), ma quelli delle regionali e delle amministrative. Più i partiti sostengono che non si sta affrontando una questione nazionale, più diventa evidente che invece le ricadute saranno inevitabili. Del resto in tutti i paesi democratici le elezioni locali vengono interpretate come un test sulla tenuta o meno della maggioranza di governo e se il risultato da questo punto di vista non è buono si cerca di correre ai ripari.
Ovviamente non è detto che in caso di crollo clamoroso dei consensi ai partiti della coalizione cada il governo: dipenderà dalla possibilità o meno di trovarne uno che lo sostituisca, cosa che al momento non sembra facile. Tuttavia far finta di niente, come vorrebbe Conte, sarà altrettanto difficile, perché con una maggioranza traballante e rissosa non si regge un compito complicato come la predisposizione e soprattutto l’attuazione dei piani per mettere a frutto i 209 miliardi di fondi europei (attesi, anche se non è ancora sicuro al cento per cento che arrivino, perché nella UE sono in atto manovre per far saltare l’intesa).
Certo accanto alle indicazioni del voto regionale e amministrativo avrà la sua importanza l’esito del referendum. I Cinque Stelle puntano molto su quello, visto che alle regionali sembra scontato che andranno maluccio, ma anche il PD si trova in una situazione poco felice. Ha puntato a chiedere un voto per il sì perché voleva evitare che una vittoria di questa opzione apparisse come un merito esclusivo dei pentastellati. Perciò sta cercando di convincere che il taglio dei parlamentari non è una manovra della solita demagogia anti-casta, ma un primo passo per riformare una sezione importante del nostro sistema costituzionale.
Per questo Zingaretti aveva solennemente annunciato che subito il PD avrebbe presentato una più articolata proposta di riforma costituzionale descrivendola anche sommariamente in un comunicato ufficiale. Peccato che, almeno fino al momento in cui scriviamo, il testo non sia noto, ed è solo con quello in mano che si potrà valutarlo a fondo. Se lo fanno uscire a qualche giorno dal voto non farà cambiare idea a quelli che non riescono a dimenticare il profumo grillino che emana dal testo sottoposto a conferma e che i Cinque Stelle rafforzano annunciando in continuazione che si farà subito un’altra riforma, cioè si taglieranno gli stipendi ai parlamentari: cioè si continuerà sulla strada del populismo più becero.
Il testo del PD, per l’anticipazione che ne è stata data, è da un lato interessante, dall’altro deludente. Interessante dove riforma l’istituto della fiducia e sfiducia al governo affidate ad una assemblea congiunta di Camera e Senato e prevede che la sfiducia debba essere “costruttiva” (cioè non al buio, ma prevedendo già la nuova maggioranza e il nuovo governo). Altrettanto apprezzabile la scelta di dotare il premier del potere non solo di nominare, ma anche di licenziare i singoli ministri (si renderebbero più facili i rimpasti e aumenterebbe la responsabilità dei ministri).
Deludente è invece nella parte in cui si occupa del Senato. Qui si limita di fatto ad integrare i 200 senatori nominati con le stesse modalità dei deputati con 21 membri ciascuno eletto da una regione e dalle due province autonome. Nonostante qualche vago pasticcio per specializzare gli ambiti di intervento di ciascuna Camera, di fatto avremmo un monocameralismo bislacco e mascherato, per l’omogeneità dei meccanismi di scelta dei membri delle due Camere. Verrebbe così non solo messo in discussione l’originario disegno dei nostri Costituenti (per la verità mai veramente applicato), ma la stessa caratteristica del bicameralismo nel sistema del costituzionalismo occidentale che prevede due Camere, perché ciascuna dovrebbe rappresentare una filiera politica diversa e la dialettica tra loro dovrebbe garantire sia maggiore ponderatezza che maggiore adesione ai bisogni profondi di una nazione.
Peraltro stiamo parlando di una proposta del PD non solo tirata fuori dal cappello all’ultimo momento, ma di una proposta che ha scarsissime possibilità di successo: andrebbe discussa dal parlamento attuale, con il complesso iter delle revisioni costituzionali, e in quella sede non vediamo alcuna disponibilità (a partire dai Cinque Stelle) di percorrere quella strada.

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