“La mia è una vocazione come le altre, non sto facendo niente di eccezionale; anche il matrimonio, il lavoro o lo studio quotidiano sono tutte strade per seguire il Signore nella propria vita, semi di speranza e apertura rispetto al futuro”. È con questa premessa umile che Gianluca Leone, 47enne, in procinto di diventare Diacono il prossimo 8 dicembre, ci suggerisce di non riservare troppo spazio alla sua figura che – dice – è “perfettamente normale”.
Gianluca però ha invece tanto da dire, sia riguardo al percorso in seminario, sia alla sua esperienza di vita decisamente interessante. Un nipote di emigrati, nato a Roma ma trasferitosi all’età di 5 anni a Pinzolo, terra di origine dei nonni materni che avevano lasciato il trentino per fare gli arrotini in Emilia.
Gianluca, come sei arrivato a questa scelta?
È stato un percorso articolato, nel quale però ogni aspetto ha concorso a questa decisione, nulla di quanto ho vissuto è stato inutile, dalle esperienze lavorative a quelle di studio precedenti. Prima di entrare in Seminario mi sono laureato in pedagogia a Bologna e ho lavorato per diversi anni nell’ambito del sociale, sia con gli anziani che con i giovani, per poi negli ultimi 7 anni insegnare religione in alcune scuole superiori e professionali di Tione.
Un percorso sempre a contatto con la gente.
Sì, in tutti gli ambienti che ho frequentato per lavoro o per volontariato ho sempre ricevuto molto dalle persone che ho incrociato, testimoni di un impegno a favore del bene comune, concetto che ci accomuna tutti e che va ricercato. Il filo conduttore è sempre stato il lasciarmi stupire dagli incontri, dalle testimonianze, dalla ricerca del buono e del bello che vedo in ogni persona che ho incontrato, una ricerca che riconduce a Dio.
Sia in seminario che durante l’attività da insegnante sei stato fra i giovani. Che idea ti sei fatto?
Nei più giovani ho trovato generazioni non chiuse, ma disponibili al confronto e al dialogo. Ho incontrato tanti ragazzi alla ricerca, che si interrogano sulle questioni fondamentali della vita e che cercano di crescere nelle competenze per mettersi al servizio delle nostre comunità. Ho visto tanti giovani che si impegnano per costruire un mondo migliore, più giusto, dove ci sia spazio per tutti, che si mettono in gioco senza lasciarsi influenzare da chi non ne riconosce i talenti. È importante camminare con loro e scoprire assieme quali sono le risorse che ognuno può mettere a disposizione degli altri.
Parlando di te, quali sono state le esperienze che ti hanno spinto verso questa direzione?
Studiando teologia ancora prima di entrare in Seminario mi sono presto accorto che la Bibbia ha un forte legame con la vita quotidiana che mi ha affascinato molto ed è stato un motivo forte per cui ho intrapreso questo percorso di studi. Poi la visione di una Chiesa che cammina con tutti, accogliente e aperta, attenta soprattutto agli ultimi, ai poveri e ai giovani, sull’esempio concreto di Gesù,oltre alla testimonianza delle comunità in cui ho vissuto, dei famigliari, dei miei genitori che mi hanno trasmesso una fede vissuta e che mi sento di dover ringraziare.
Cosa significa per te questo passaggio?
Il diaconato è un servizio per cui ci si mette a disposizione della Chiesa locale, con i propri talenti ma anche limiti, con le proprie virtù ma anche fragilità, perché ognuno di noi è un impasto di tutto ciò. Sono molte le scelte di vita volte a seguire il Signore, il diaconato è una delle modalità, alla quale in questo momento ho risposto.
Questa scelta ha implicato dei sacrifici o delle rinunce?
Non rinnego nulla di quello che ho vissuto in questi anni, tutto ha concorso nel farmi vedere la presenza del Regno di Dio in ogni ambito e circostanza, nei momenti lieti e in quelli difficili, per cui non guardo a ciò che lascio ma all’oggi, valorizzando ogni incontro ed esperienza che ho potuto fare. Quest’anno il percorso in seminario è iniziato con un cammino da Norcia a Rieti, dove abbiamo incontrato questa frase di San Francesco che mi ha colpito molto: “buon giorno buona gente”, una frase che indica una visione positiva della comunità che mi sento di abbracciare pienamente.
Per anni sei stato anche giornalista e nostro corrispondente, che cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Ho cominciato nel 1998 a collaborare con Vita Trentina e con l’Adige, mi ha sempre stimolato la possibilità di dare voce alle realtà locali dove si agisce per far crescere la comunità, le relazioni, creando occasioni di incontro e di crescita a livello umano oltre che spirituale, due aspetti che vanno di pari passo e non possono essere scissi.
Un’attenzione che denota il tuo legame con il territorio.
Penso che sia importante vivere nell’oggi e nella realtà in cui ci troviamo, tutto ciò non è casuale ma fa parte di un disegno più grande, in cui se lasciamo aperta la porta anche Dio viene coinvolto. Ho conosciuto tante persone attive in vari ambiti del volontariato che è una ricchezza del nostro territorio, per cui ho cercato di seguire il loro esempio camminando assieme agli scout dell’Agesci, alle parrocchie dove sono stato, alla Sat, a Operazione Mato Grosso.
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