Identità fasulle

Merano

I nomi delle strade non sono lì a caso. Nella migliore delle ipotesi sono nomi che si sono formati via via nel tempo, man mano che si moltiplicavano le vie del paese o della città, per avere dei punti di riferimento riconoscibili. Così ci può essere ancora oggi una via detta “Principale”, una via “sotto il monte”, o “lungo il fiume”. Oppure una via “Bolzano”, “Merano”, “Resia”, “della Chiesa” o “del Castello”, perché questa è la direzione verso cui si muove chi la percorre.

Un secondo criterio di scelta odonomastica è la dedicazione a personaggi ritenuti importanti: musicisti, letterati, scienziati e così via. Ecco, qui è già facile scivolare nell’ideologia e, dalle nostre parti nel nazionalismo. Dante o Goethe? Marconi o Plank? Verdi o Wagner?

Lo stesso dicasi dei nomi di città, quando non c’entrano nulla con la meta verso cui si muove la strada. Troveremo a Bolzano tutte le località d’Italia: Milano, Sassari, Palermo, Firenze, Udine, Rovigo, Napoli e chi più ne ha più ne metta. Non troveremo invece vie dedicate a Graz, St. Pölten, Salisburgo e nemmeno a Vienna.

Tra le tante tipologie di nomi, ci sono quelli che, in modo più o meno diretto, fanno riferimento alla fatidica “vittoria” del 1918, la quale, come tutti sanno, non è solamente un fatto storico come tanti altri, ma fu un momento di rottura, per alcuni un motivo di orgoglio (nazionalistico), per altri una ferita e un’umiliazione. A Bolzano abbiamo così una piazza della Vittoria (con relativo monumento), che sarebbe bello vedere nuovamente rinominata “piazza della Pace”. A Merano abbiamo una via del 4 Novembre che, nella retorica nazionalista, è appunto di giorno della vittoria (oppure della sconfitta).

Tutti i nomi che in qualche modo celebrano la Grande Guerra hanno questo retrogusto revanscista e non può stupire che essi siano da sempre invisi alla maggior parte degli abitanti dell’Alto Adige.

A Merano, città di per sé tollerante e cosmopolita, era stata fatta la proposta di cancellare una “via Cadorna”, da ribattezzare con un nome femminile (le donne sono normalmente le grandi assenti sui cartelli stradali e non solo): quelli della principessa Mathilde von Schwarzenberg (in città negli anni 30 dell’800), o dell’artista Aliza Mandel, della piccola bambina ebrea uccisa ad Auschwitz Elena Stern De Salvo o della scrittrice meranese Anita Pichler.

Dopo la levata di scudi in stile preelettorale – principalmente a destra, dove non si è esitato a parlare di “pulizia linguistica” – il Consiglio comunale non è riuscito a trovare i venti voti necessari per decidere in tal senso.

Due considerazioni. La prima: confondere i nomi delle strade con la questione della toponomastica bilingue o trilingue è segno di ignoranza e, più spesso, di malafede. La toponomastica bilingue (al di là dei modi con cui fu introdotta) è oggi patrimonio comune di tutto l’Alto Adige ed è il segno evidente di una realtà che ha scoperto nel plurilinguismo una delle sue principali risorse. Invece i nomi delle strade, se esprimono un messaggio non positivo, vanno cambiati e basta. Non è questione di lingua, ma di contenuto ideologico.

La seconda considerazione. Per “difendere” certi nomi c’è chi dice che essi farebbero parte dell’identità del gruppo di lingua italiana. Ma nemmeno per sogno. E se c’è un’identità che ha bisogno di una Vittoria, di un Cadorna, di un 4 Novembre, di un Piave per sentirsi forte, questa identità non è la mia. No, grazie.

Solo come nota a margine: la maggior parte dei meranesi non sa nemmeno dove sia la via Cadorna.

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