Una Parola per noi – Domenica 26 luglio – Domenica XVII° anno A
1Re 3,5.7-12 Sal 118 Rm 8,28-30 Mt 13,44-52
Il capitolo tredici del Vangelo di Matteo termina con quattro brevi parabole: la prima parla del tesoro nascosto in un campo, la seconda della perla preziosa, la terza della rete che raccoglie ogni genere di pesci e infine dello scriba che tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie. Le prime due parabole raccontano del grande sogno di ogni uomo: trovare qualcosa di prezioso che dia senso alla vita. Sia chi cerca, come il mercante, sia chi non cerca, come il contadino che sta solo lavorando nel campo, è chiamato a prendere una decisione per ciò che ha trovato.
Il senso è chiaro: il tesoro è ciò che Gesù ha esposto nelle parabole, cioè saper vedere nelle difficoltà la presenza di Dio e saper usare nel male e nelle contraddizioni la misericordia, saper scorgere l’amore di Dio che vince ogni male, che diventa norma di vita, perché del tesoro si vive. Questo tesoro è nascosto nel campo; il campo non è del contadino e per questo deve comprarlo. Nella parabola del seminatore, che abbiamo ascoltato domenica scorsa, il campo è il mondo intero. Questo tesoro dunque c’è dappertutto, «in ogni uomo c’è il campo di Dio». (Silvano Fausti)
Lo si può trovare in modo occasionale e gratuito nell’ambito in cui si vive e in cui si lavora. Lo si può trovare anche in se stessi. Diversa è la situazione del mercante: egli va in cerca di una perla preziosa: «è un intenditore». E’ uno che non si sente appagato fino a quando non ha trovato quella bellezza per la quale si sente fatto. Un po’ tutti siamo come lui: il nostro cuore è inquieto fino a quando non ha trovato il Signore. La terza parabola (la rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci) verte sulla responsabilità. E’ una parabola che assomiglia molto a quella della zizzania, ci mette sull’avviso che una setta di soli giusti non è cristianesimo! La rete è piena di pesci buoni e pesci cattivi. I buoni non sono quelli che non sbagliano mai e giudicano gli altri che sbagliano.
I buoni sono quelli che si sentono peccatori e hanno misericordia verso tutti, che aprono il cuore al perdono comunque, per essere come il Padre. La motivazione che spinge i protagonisti delle parabole ad agire è la gioia. E’ importante e urgente chiedersi se il cristianesimo è stata ed è la religione della gioia. Nietzsche affermava che sarebbe disposto a credere «solo a un dio che sapesse danzare». Oggi probabilmente ci rendiamo conto che per troppo tempo abbiamo annunciato un Dio triste. Abbiamo invitato a cercare il tesoro solo nell’aldilà, dimenticando la grandezza di questa vita.
Eppure sempre possiamo vedere un Dio che danza nelle pagine della Bibbia, da quando ha creato le stelle e le ha fissate sulla volta del cielo, a quando ha creato Adamo, un’immagine bella a tal punto da potervisi rispecchiare, a quando ha risuscitato Gesù Cristo «che dà la vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono». (Rom.4,17)
L’uomo del nostro tempo ha bisogno di sentire parlare di un Dio amico che ama la bellezza, che vince il dolore e la morte, per vedere nella «sua storia apparentemente profana un terreno sacro colmo della presenza di Dio». (Robert Cheaib)
Nel nostro modo di vivere la fede c’è gioia ed entusiasmo, cioè la consapevolezza di vivere un dono meraviglioso che dà senso a ogni nostro giorno e a ogni nostro atto?
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