Dopo un governo caratterizzato dal rinvio, adesso abbiamo un governo che si muove a scatti, saltando da una parte all’altra. A dire il vero più che di un governo si tratta di un presidente del Consiglio, perché quale sia la linea dei ministri è abbastanza difficile da dire.
Prendete l’annosa vicenda di Autostrade. Dopo due anni di melina inconcludente, lunedì mattina Conte si sveglia e dà due interviste in cui tuona contro i Benetton e informa che li butterà fuori da Aspi: il consiglio dei ministri convocato per martedì varerà la revoca della concessione. A sera arriva già il ben noto “contrordine compagni”: al consiglio ci sarà solo un’informativa, nulla è deciso si valuterà collegialmente, poi vedremo. Insomma prima fuoco e fiamme alla “dibba” (si dice per dare un calcio negli stinchi a Di Maio che lavora contro di lui), poi una più prudente valutazione, perché la faccenda non è semplice, si toccano interessi di investitori importanti (tedeschi e cinesi), e non è il caso di turbare troppo i mercati viste le condizioni in cui ci troviamo.
Come finirà non lo sappiamo, ma tutto sommato sappiamo già che finirà comunque male, perché lancia l’ennesimo segnale del disfacimento della politica italiana e lo fa nel giorno stesso in cui il premier va a Berlino a cercare sponde per il Recovery Fund. Non bastasse la figuraccia di Conte ci si aggiunge quella del Pd. A proposito della prima sia consentita una osservazione a margine: non si è data alcuna rilevanza alla battuta della Merkel che sentendo la posizione su Autostrade ha lasciato cadere lì che era curiosa di vedere come si sarebbe concluso il consiglio dei ministri. È un qualcosa che assomiglia tanto ai famosi ammiccamenti fra Merkel e Sarkozy sul governo Berlusconi.
Ma veniamo al PD. Come si può giudicare un partito che ha sempre realisticamente ritenuto che la questione Aspi non potesse essere risolta alla bersagliera e che adesso, terrorizzato dall’ipotesi di una crisi di governo, corre a coprire un premier sempre più palesemente incapace?
Si potrebbe cavarsela notando che Zingaretti non vuole favorire manovre avventate di indebolimento di Conte quando non si ha idea di come sostituirlo. Ci potrebbe stare, non fosse che Conte si sta indebolendo da sé con la sua incapacità di gestire una linea di governo, mentre per coprirsi si lancia in operazioni poco chiare come il prolungamento dello stato di emergenza: una misura giustamente criticata da tutti quelli che sanno cosa significhi mantenimento degli equilibri costituzionali e che hanno presente la mancanza di necessità di una simile operazione, perché da un lato esistono già strumenti di intervento e dall’altro in un caso drammatico lo stato di emergenza può essere dichiarato allora senza problemi.
Ovviamente il tutto va inserito nel quadro di un personaggio come Conte che si sente a fine corsa e che spera di evitarlo (e forse ancor più di lui la corte di collaboratori che lo condiziona). Paradossalmente il pericolo più che dalle convulsioni della politica italiana viene proprio da quell’Europa su cui egli aveva scommesso come sorgente di un suo rinnovato potere seduto su una montagna di finanziamenti. Invece proprio l’incontro di Berlino con la Merkel ha mostrato che ci si avvia ad un compromesso che legherà gli stanziamenti ad un controllo sul loro impiego effettivo (non semplicemente sul “titolo” della loro destinazione).
Di nuovo il problema si nasconde in un dettaglio: a valutare la congruità e l’efficacia dell’impiego dei fondi europei elargiti non sarà la Commissione, ma il Consiglio Europeo, cioè l’insieme dei capi di stato dei paesi membri. Ciò significa banalmente dover rendere conto a dei personaggi che devono rispondere alle rispettive opinioni pubbliche dove la “simpatia” per il modo italiano di governare è bassa (per non dire di peggio).
Ora il premier italiano è un membro del Consiglio Europeo, ma se non è un personaggio forte ed autorevole, se non ha alle spalle un ampio consenso politico (tanto nel parlamento quanto nei ceti dirigenti) che ruolo potrà mai giocare? E’ questo scenario che di fatto mette in crisi Conte e il suo governo, perché è ben evidente che per utilizzare proficuamente e a fondo il sostegno finanziario europeo ci sarebbe bisogno di ben altro.
Continuare a contare sul fatto che siccome questo “ben altro” non si vede come metterlo insieme il governo attuale rimane in sella è un errore di prospettiva. Il peso della realtà troverà modo di scavarsi la sua via e se non viene guidato con intelligenza lo farà in maniera assai poco virtuosa.
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