Spesso nello sport si esaltano le bandiere, quei giocatori nati e cresciuti all’interno di un club che, iniziando dal settore giovanile, arrivano in prima squadra e ne diventano il simbolo. L’Aquila Basket, a testimonianza del suo forte legame con la sua storia e il territorio trentino, di bandiere e di simboli ne ha diversi, non solo in campo.
Ne è un esempio Matteo Tovazzi, 35 anni, che sul parquet bianconero ha iniziato a starci fin dai tempi del minibasket, facendo tutta la trafila delle giovanili da giocatore, e poi anche da professionista, dove è arrivato fino alla prima squadra, per la quale dalla prossima stagione sarà il nuovo preparatore atletico.
Non è una novità infatti l’abilità del club bianconero di valorizzare le capacità dei talenti di casa, base di una società che, nonostante la crescita esponenziale sul piano sportivo, non ha perso contatto con le radici, con quel periodo, proprio negli anni in cui Tovazzi iniziava a vestirne la canotta, non si chiamava ancora Aquila Basket.
“All’epoca era ancora il Dolomiti Basket Club. Ho giocato dal ‘91 fino al 2000 circa, quando siccome eravamo in pochi della mia annata non si è fatta la squadra e ho dovuto passare da Gardolo e Ravina. Poi, a 18 anni, il coach che mi aveva allenato nelle giovanili, Claudio March, ancora adesso all’Aquila Basket, mi convinse a frequentare il corso per diventare allenatore”, ci racconta Matteo Tovazzi, ripercorrendo la sua già lunga storia con i bianconeri, nonostante la giovane età.
Dopo un anno da assistente allenatore dell’Under 14 il distacco, dovuto agli studi in Scienze motorie a Verona. “Ho scelto di dedicarmi alla preparazione atletica, materia che mi appassionava e in cui ero più portato rispetto al coaching tecnico. Sono sempre rimasto in contatto con la società e una volta laureato sono rientrato nello staff. Osservavo e imparavo stando a contatto con gli altri preparatori delle squadre giovanili. Ho fatto i miei passi assieme alla società, siamo cresciuti entrambi: il club arrivando fino alla serie A, noi con il settore giovanile abbiamo fatto un grande percorso raggiungendo ottimi risultati”, spiega Tovazzi, che alla prima squadra si è affacciato grazie al rapporto e alla stima reciproca con Christian Verona, preparatore degli aquilotti fino al 2019.
Un legame a doppio filo che per l’Aquila si è rivelato un investimento vincente, e per Matteo Tovazzi il coronamento di un sogno: “È sempre stato un obiettivo, ho sempre lavorato per essere pronto nel caso in cui fosse arrivata la proposta di ricoprire questo ruolo”.
Proposta che è arrivata forse nella stagione più impegnativa per un preparatore atletico. Dopo il lungo stop forzato dall’emergenza sanitaria, infatti, non sarà un’estate come tutte le altre. “È una variabile che stiamo prendendo in seria considerazione”, conferma Tovazzi. “Rispetto agli anni passati anticiperemo il raduno di due o tre settimane ed il lavoro sarà organizzato in maniera diversa. I giocatori, per quanto si siano allenati da soli in questi 5 mesi, devono essere pronti per sopportare le sollecitazioni del ritorno in campo e limitare il rischio di infortuni”.
Con il nucleo centrale della squadra Matteo Tovazzi è sempre rimasto in contatto, portando avanti un lavoro individuale anche a distanza; con gli americani invece l’impegno per abbattere barriere linguistiche e soprattutto culturali era iniziato ancora prima del lockdown: “Ho avuto la fortuna di fare un’esperienza negli Stati Uniti, giusto prima della quarantena. Ho visitato il Gonzaga College a Washington, e poi i SUNS, squadra NBA di Phoenix. Un passaggio fondamentale, perché se sulla lingua si può lavorare quotidianamente è stato molto utile vedere come vengono trattati e come si allenano i giocatori americani, capire la loro cultura e perché preferiscono determinati orari di allenamento o tipologie di esercizio”.
L’aggiornamento continuo è uno degli ingredienti base per fare questo mestiere ad alti livelli, ma il segreto è l’appoggio della famiglia: “Mi ritengo molto fortunato perché la mia compagna mi ha sempre sostenuto. Nonostante l’impegno che richiederà, nel momento in cui si è aperta questa opportunità mi ha sempre spinto per andare avanti, comprendendo i sacrifici e gli sforzi fatti nel corso degli anni, avendo seguito tutta la parte di lavoro che dal campo non si vede, dal preparare le schede all’analizzare i dati, per cercare di migliorare sempre”.
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