Sono settimane difficili quelle di luglio per la politica italiana, specialmente per il governo. Vengono a scadenza varie cose, a cominciare dalla conversione del decreto Rilancio che alla fine può essere blindato col ricorso alla fiducia, ma che in questo caso lascerebbe sul terreno ulteriori risentimenti (specialmente al Senato, che se lo vedrà arrivare inemendabile, a riprova del fallimento del sistema di doppia lettura). Ci sono anche questioni che l’opinione pubblica riesce a cogliere meno come il tema della sostituzione dei presidenti delle Commissioni parlamentari. Sono posti delicati, dove si agisce e si pesa politicamente ed al momento sono quelli distribuiti col bilancino del primo governo gialloverde. I presidenti leghisti sono poco contenti di mollare i loro posti (si pensi all’on. Borghi nella commissione Bilancio: una posizione chiave), i Cinque Stelle sono sovrarappresentati, e adesso c’è il problema di dover far posto a PD, IV e LeU. Un negoziato difficile che per gran parte si svolgerà lontano dai riflettori, ma che avrà ricadute sulla già zoppicante maggioranza di governo.
Lasciamo da parte l’eterna questione dei dossier aperti, che si continuano a proclamare in via di definizione senza che si giunga a conclusione. Si è aggiunta la partita della riforma elettorale, che era lo scambio che il PD aveva ottenuto per la sua conversione dell’ultima ora al taglio dei parlamentari imposto (a suon di antipolitica) dai Cinque Stelle. Il partito di Zingaretti vorrebbe che fosse varata da una Camera, quella dei Deputati, prima delle ferie: c’è una bozza licenziata dalla Commissione Affari Costituzionali, ma adesso in molti recalcitrano, a cominciare da Renzi a cui non sta bene uno sbarramento al 5% che lo taglierebbe fuori dai giochi.
Intanto il premier Conte fa un giro per le capitali europee ufficialmente per negoziare il Recovery Fund, sotto sotto nella speranza di trovare da quelle parti una sponda contro le manovre per disarcionarlo. Quando si agisce così in realtà si mostra debolezza, perché i nostri partner conoscono bene cosa sta accadendo in Italia, cosa bolle nella pentola della politica politicante e dunque non si sa quanto siano disponibili ad accogliere la solita argomentazione del nostro premier: attenti, se non mi tenete in piedi vi troverete a trattare con qualcuno di peggiore, può essere Di Maio per via di congiure interne come Salvini per via di un ricorso anticipato alle urne.
Il problema di fondo è che in sede europea si vorrebbero vedere piani concreti per rimettere in sesto la barca italiana: se ci aiutano, è perché su quella barca ci sono anche loro. Vale ovviamente per i grandi che sono ormai parte di un sistema economico integrato (la filiera delle industrie tedesche ha le sue propaggini nel Nord Italia!) e non per i piccoli, tipo Austria, Olanda, Svezia, che non sono frugali, ma semplicemente marginali al gioco di inserzione nel sistema economico produttivo europeo (al massimo fanno come l’Olanda finanza e offrono agevolazioni fiscali). Se però il governo non sarà in grado di offrire garanzie per una ristrutturazione del sistema italiano c’è da immaginare che l’interesse a sostenerci si raffredderà non poco.
Per questo assume grande importanza la capacità di pianificare interventi. Ora il Piano Nazionale di Riforme che il governo ha appena varato ( in ritardo: doveva già essere stato inviato a Bruxelles) è la solita frittata all’italiana: mettiamo in padella tutti gli ingredienti che si immaginano graditi (green economy, riforma burocrazia, riforma fiscale e quant’altro) e li leghiamo con un po’ di retorica. Peccato che, per continuare nella metafora culinaria, così non tengano la cottura, perché manca qualsiasi piano concreto e affidabile sul “come” raggiungere questi troppo numerosi obiettivi che sono stati annunciati decine di volte e mai centrati (si veda la lotta all’evasione fiscale).
E’ qui che il solito gatto (il governo) si morde la coda (la politica) senza sapere che la coda è sua. Una politica di riforme è possibile solo se c’è una maggioranza di governo compatta e orientata ad uno stesso modo di sentire i problemi, perché in caso contrario tutte le resistenze, corporative, culturali, di meschini interessi, trovano il modo di infilare sabbia negli ingranaggi e bloccare così qualsiasi procedimento. Andrebbe ricordato cosa accadde con il centrosinistra poco più di mezzo secolo fa.
Lascia una recensione