In occasione della serie di videoconferenze di questo lungo anteprima che ci porterà al Festival dell’Economia, quest’anno spostato a settembre, è intervenuto anche il professor Enrico Moretti, docente in economia del lavoro e delle città a Berkeley.
Ospite del format “L’economia ai tempi del Covid”, condotto dal direttore scientifico del Festival, Tito Boeri, Moretti ha commentato due degli aspetti più interessati dalla pandemia da Coronavirus e dagli effetti del lockdown: l’economia del lavoro e dell’economia urbana.
“La diffusione del Coronavirus – ha esordito Moretti – ha portato ad una profonda riorganizzazione sui luoghi di lavoro con effetti a lungo periodo. Il cambiamento più importante è stato il telelavoro che permette ai colletti bianchi di lavorare da casa, modello scarsamente diffuso per numero e giornate fino a qualche mese fa. E questo nonostante la tecnologia, che permette il telelavoro, fosse già presente sul mercato”.
Secondo Moretti, conseguenze profonde sono attese per il futuro delle città: “Il telelavoro è stato uno shock mai visto prima nel mercato del lavoro. Ha portato dei cambiamenti che avranno conseguenze di lungo periodo. Le città potrebbero perdere, almeno in parte, quella centralità economica e finanziaria per guadagnare in vivibilità e sostenibilità“.
Due gli scenari tratteggiati da Moretti legati al lavoro da casa: “Nel primo il telelavoro riguarderà una quota importante di lavoratori con vantaggi significativi per imprese e lavoratori. Una parte significativa di famiglie quindi potrebbero lasciare le grandi città a favore di quelle più piccole, dove il costo della vita è minore e la qualità superiore. Con un ulteriore vantaggio: il salario sarebbe in ogni caso quello delle grandi città”.
Il secondo scenario, più conservativo e decisamente meno apocalittico, vedrebbe il telelavoro riconosciuto per un paio di giorni a settimana e, di conseguenza, con la conferma della centralità delle grandi città: i vantaggi dell’agglomerazione economica non spariranno e la forza lavoro, soprattutto quella alta e creativa, rimarrà nei grandi centri, cuore pulsante dell’innovazione e dello sviluppo. “Non c’è ragione di pensare – ha osservato a questo proposito Moretti – che le forze economiche accettino il declino delle città e, implicitamente, di un modello che le vede vincenti. Inoltre, appare improbabile che i lavoratori, trasferiti nelle aree rurali, rimangano attivi e creativi nel lungo periodo, rispetto a quelli che vivono nelle grandi città”.
La seconda ipotesi è quindi la più probabile per Moretti. Certo, il telelavoro aumenterà ma al contempo le imprese chiederanno ai dipendenti di andare in ufficio, concedendo loro di rimanere a casa per qualche giorno. “Il contatto diretto con cliente e colleghi – ha spiegato il docente di Berkeley – appare ancora oggi fondamentale, soprattuto per le carriere più attraenti che richiedono maggiore dinamicità”. Il nuovo assetto non porterebbe quindi al declino delle grandi città. Queste, al contrario, ne trarrebbero vantaggio in termini di diminuzione di traffico e congestionamento urbano, a favore della migliore vivibilità e crescita sostenibile”.
Entrambi gli scenari mantengono delle zone grigie comuni, quali ad esempio la qualità del lavoro domestico, soprattutto se svolto in spazi ridotti, il carico di lavoro delle donne o le opportunità di crescita di coloro che, a diverso titolo, optassero per il telelavoro.
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