Quando scadono i tempi del rinvio

La prima pagina di Avvenire di martedì 30 giugno

La maggioranza deflagra? Questo è lo spauracchio che agita il premier Conte, ma non è poi chiaro se davvero siamo sull’orlo di una crisi di governo, perché i Cinque Stelle stanno tirando la corda oltre ogni limite, ma se si spezza a finire a gambe all’aria saranno loro per primi. Da un certo punto di vista Conte avrebbe tutto l’interesse ad anticipare adesso il confronto senza rimandarlo a settembre: i pentastellati dovrebbero valutare seriamente se convenga loro andare ad elezioni anticipate come sarebbe molto probabile. Perché, se il governo cade adesso, i tempi per uno scioglimento anticipato delle Camere ci sono.

D’accordo, non sarebbe una gran vantaggio per il paese che si troverebbe a dover gestire praticamente allo sbando il passaggio europeo che dovrebbe portarci una cospicua dote di aiuti, ma va anche detto che un decente governo di transizione in vista della prova elettorale che non può svolgersi prima dell’inizio 2021 (votare in piena sessione parlamentare di bilancio sarebbe azzardato) potrebbe persino ottenere di più dalla UE di questo inaffidabile governo con un premier che non riesce a sottrarsi alle bizze a Cinque Stelle.

Il PD sembra avere esaurito la pazienza, perché si rende conto che non può affrontare la tornata elettorale d’autunno senza dare un messaggio di forza e vitalità. C’entra senz’altro anche l’aprirsi di un confronto interno al partito, dove le critiche a Zingaretti e al suo gruppo non mancano, ma non è tutto lì: non si può andare avanti ostaggio di una forza che non sa decidere cosa fare perché non ha una leadership compatta e vive nel terrore di una prossima scissione.

Conte pensa di uscire dall’angolo buttando, come si usa dire, la palla in tribuna. Così annuncia di aver avviato a soluzione la questione Alitalia, di stare facendo lo stesso con l’ex Ilva e la Banca Popolare di Bari, nonché mettendo finalmente in campo il decreto semplificazioni. Ora non è difficile vedere che i tre interventi sono quelli tipici dello stato tappabuchi (e della poco splendida storia che questo ha in Italia): con i soldi pubblici si cerca di mantenere in piedi aziende da anni fallimentari (Alitalia), di tamponare questioni gestite coi piedi dal governo precedente e da questo (ex Ilva), e di mettere una pezza su crack dovuti a malaffare e dilettantismo (Popolare di Bari). Invece, dove ci sono questioni che non si possono risolvere in quel modo, si procede a non decidere: giustizia, Autostrade, revisione dei decreti sicurezza, revisione della pessima riforma della prescrizione, e dossier simili continuano a essere lasciati nei cassetti.

Sul decreto semplificazioni vedremo. Dopo un lungo tergiversare il governo ha fatto circolare una bozza, che non è stata esattamente accolta con applausi. A parte il solito vizio di decreti di molti articoli, dove, già che ci siamo, si infila anche qualcosa che centra ben poco, siamo sempre a normative abbastanza nebulose, che poi dovranno essere interpretate e qui cascherà l’asino: senza una mano ferma a dirigere la politica tutti si comporteranno come meglio loro aggrada.

Non è in questo modo che sarà possibile uscire dalla crisi di decisione in cui si è impantanata la nostra politica. La questione dell’adesione al MES è una mina ad orologeria che prima o poi esploderà. Gli avversari del ricorso a quello strumento hanno da far valere solo ragioni speciose. Abbiamo giusto sentito l’on. Bagnai affermare alla radio che non si può far conto su quel che si è stabilito adesso (assenza di condizioni di controllo), perché la scadenza del prestito è a dieci anni, e non sappiamo se a quel che si è deciso oggi si terrà fede sino alla fine. Tesi bizzarra, perché se si ragiona in questo modo praticamente non si può fare alcuna scelta, essendo impossibile prevedere con certezza come saremo fra alcuni anni.

In realtà non ci sono argomentazioni razionali per rinunciare ad un sostegno massiccio al miglioramento del nostro sistema sanitario e a quanto vi è connesso: andrebbe detto con forza accettando la battaglia contro questo populismo straccione che sta trascinando il paese in una spirale pericolosa. Se si cede nell’illusione di aggirare le difficoltà (e magari di tenersi strette un po’ di poltrone) la responsabilità della marginalizzazione inevitabile dell’Italia nel mondo post Covid ricadrà su tutti coloro che non hanno voluto reagire alla deriva che continuano a proporci.

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