L’epopea dei tamponi in casa Delpero

Laura e Renzo Delpero nella Foto © Gianni Zotta

“Dopo due mesi di quarantena, ritrovare la libertà, poter tornare per strada e salutare le persone, è stato davvero magnifico”.

È giusto iniziare dal lieto fine per raccontare la storia di Renzo Delpero e della sua famiglia, che in queste settimane di “tempo sospeso” hanno dovuto condividere la loro vita con l’ospite meno desiderato: il coronavirus.

Fin dal primo contatto al telefono, Renzo è un fiume di parole, anzi: un torrente solandro. Ha 51 anni, vive a Vermiglio – una delle zone più colpite dalla pandemia in Trentino – e da 29 anni fa l’operatore sanitario della Casa di riposo di Pellizzano. E fra le tante parole del suo racconto torrenziale, quella che pronuncia più spesso è “grazie”. È lungo, infatti, l’elenco delle persone che in questi mesi hanno fatto quadrato attorno ai Delpero.

“Da febbraio ero a casa per recuperare da un intervento chirurgico e quando il 22 marzo mi sono ammalato – confida – ho dubitato potesse trattarsi di Covid. Essendo del mestiere, però, mi sono comunque subito isolato, evitando i contatti con mia moglie e i miei due figli: Aurora, vent’anni, era appena tornata da Innsbruck, dove frequenta l’università”.

Giornate di preoccupazione: la febbre non passa e il responso arriva pochi giorni dopo come una doccia fredda con il primo tampone, eseguito a domicilio. “Mi sono sentito crollare il mondo addosso, ma devo ringraziare il mio medico curante, il dottor Franco Roncato, per come ha gestito la situazione: mi ha sempre tenuto monitorato, mi ha fornito il saturimetro. Grazie a lui, sono stato uno dei primi pazienti in valle di Sole ad essere curato in casa con la terapia che si stava utilizzando negli ospedali – idrossiclorochina, un antimalarico, eparina e antibiotico -: dopo 12 giorni di febbre ho cominciato a vedere la luce in fondo al tunnel”.

Ma torniamo a quelle prime settimane: l’amministrazione comunale, avvisata della situazione, mette a disposizione un appartamento a passo del Tonale per il figlio maggiore Elia, 24 anni, che così evita il contagio e, dopo 14 giorni di quarantena, può tornare al suo impiego di vigile stagionale. La moglie Laura – anche lei in Casa di riposo di Pellizzano – e la figlia, invece, nonostante tutte le scrupolose precauzioni, si ammalano.

Il 20 aprile, dopo un mese di quarantena, inizia quella che Delpero definisce “epopea dei tamponi”: 7 fatti da Renzo, 7 dalla moglie, 4 dalla figlia. “Ogni volta in gita a Cles”, scherza oggi Renzo ricordando quei viaggi all’ospedale noneso. “Restavamo in macchina, l’esame veniva effettuato dal finestrino, tutto ben organizzato: ma l’attesa del risultato ci sembrava infinita: rubava l’anima, era logorante. La salute continuava a migliorare, pur lasciandoci in eredità un po’ di spossatezza; ma a un tampone negativo, ne seguiva uno positivo e così bisognava ricominciare da capo”.

Laura e Renzo Delpero ci hanno raccontato la loro vicenda “soltanto per dire grazie”. Foto © Gianni Zotta

Alla fine, arriva la tanto attesa doppia negatività per Renzo e Laura, ma non per Aurora. E alla storia si aggiunge un altro capitolo. “Un nuovo fulmine a ciel sereno! Mia moglie ed io abbiamo deciso di allontanarci da casa, anche se la decisione non è stata facile dopo 40 giorni trascorsi in famiglia insieme, uniti”.

L’opportunità è offerta da don Severino Vareschi – il parroco di Sant’Antonio a Trento, apprezzato docente di storia, vermigliano doc – che mette a disposizione dei coniugi il suo alloggio. Ai Delpero rimangono una decina di giorni prima di poter tornare finalmente a casa: è il 19 maggio, 59 i giorni di quarantena, “affrontati con una fede che non ha mai vacillato e, anzi, ne è uscita rinforzata”, sottolinea Renzo.

Due mesi che non si dimenticano: “L’iniziale smarrimento, lo sconforto, la paura di un ricovero ospedaliero. Ma anche l’affetto di un amico che ti spedisce un messaggio, che ti manda a casa una torta o il gelato: piccoli grandi gesti in cui si manifesta il Signore, segni di resurrezione per dirla con le parole del vescovo Lauro, di un’umanità ritrovata”.

Piccoli grandi gesti che fanno la differenza. E allora Renzo ricorda ancora con piacere la spesa fatta dalla sorella Anna e da Ada, il servizio del fratello Pierino “che è sempre andato a prendermi i farmaci”, l’aiuto della nipote Valentina per gli aspetti burocratici del tempo “normale”. Le telefonate della sindaca Panizza e della assessora Mariotti che “come a noi, sono state vicine a tutte le persone in quarantena del paese”. I messaggi di vicinanza del parroco don Enrico e del suo collaboratore don Riccardo. E, infine la “sua” Casa di riposo, con “una preghiera per chi ci ha lasciato e un pensiero ai colleghi per tutto quello che hanno dato in questi mesi di emergenza. Sa – dice Renzo – li ho sentiti spesso piangere dall’altra parte del telefono, per la fatica e per tutto quello che hanno dovuto provare”.

Seppure con la dovuta cautela, ora è il tempo di tornare alla “normalità”, che passa anche dalla riapertura delle chiese. “Ci siamo confrontati con i nostri don, vista la situazione abbiamo preferito temporeggiare. Il 4 giugno abbiamo celebrato la prima Messa con il popolo, domenica abbiamo accolto mons. Tisi”, spiega Renzo che fa parte del consiglio parrocchiale e di quello “di valle”. E il futuro? “La quarantena ci ha tolto la libertà, che è davvero la cosa più preziosa, la normalità dello stare insieme: capita di dare tutto per scontato, ora abbiamo capito che niente deve esserlo. E speriamo di non dimenticarcene”

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