Non c’è pace nella politica italiana. Da un lato la situazione non offre margini di revisione, all’opposto più o meno tutti ne sono insoddisfatti (le dichiarazioni ufficiali che lo negano sono in realtà conferme).
Il premier Conte continua nella sua politica dell’ambiguità: contemporaneamente afferma che è pronto a tornare a fare l’avvocato e lavora per rafforzare la sua posizione, secondo alcuni persino nell’ipotesi di poter aspirare a divenire il successore di Mattarella.
Il fatto è che incombe l’incertezza del futuro. C’è quella notevole sul futuro andamento dell’economia con una previsione quasi unanime di grandi difficoltà che possono tracimare in rabbia sociale.
Al momento la risposta del governo è proseguire con la politica del tappabuchi: in ogni settore dove si prospetta una criticità, un intervento statale a sostegno. Giusto, persino inevitabile, perché nella maggior parte dei casi non si può lasciar affondare le persone (poi c’è chi con questa scusa infila tutele e aiuti non dovuti, ma pazienza). Però si continua a fare debito, perché i soldi non ci sono e anche i mega finanziamenti europei sono per la gran parte soldi che andranno restituiti sia pure con tempi lunghi. Ammesso che i piani di intervento della UE arrivino a concretizzarsi, il che è probabile ma non certissimo (e comunque è da vedere in che misura), gestire la complessa manovra che sarà richiesta dalla gestione di questi fondi sarà politicamente un bel problema. Non si tratterà solo di come spendere, ma anche di come lavorare per rientrare dai debiti, perché senza un serio piano in quel campo il paese perde di credibilità. E basta enunciare il tema per capire che con la geografia politico-parlamentare con cui ci misuriamo saranno dolori.
Poi c’è l’incertezza per un futuro molto più prossimo che è dato dall’esito delle urne d’autunno: fra regionali e comunali c’è una fetta molto consistente di elettorato che si esprime e quei dati valgono molto più del profluvio di sondaggi (telefonici) da cui siamo invasi. I partiti sono tutti in crisi di nervi e dunque non nelle migliori condizioni per reggere il colpo delle elezioni d’autunno, quale che possa essere.
Del resto la situazione già non è rosea. La crisi dei Cinque Stelle diventa ogni giorno più evidente e più oscura quanto agli esiti a cui può approdare. Qualche commentatore vi ha visto una buona opportunità per il PD, che potrebbe ridurre M5S più o meno ad un vassallo della sua iniziativa politica, altri pensano che sia una opportunità per la costruzione di un asse fra Renzi e Conte per rivedere la legge elettorale e intanto creare un nuovo polo di decisioni, altri una occasione per il centrodestra di arrivare alla spallata, oppure per Berlusconi di ritornare ad una governo quasi di larghe intese. Tutte ipotesi a favore delle quali qualche indizio si può raccattare qua e là, ma nessuna convincente sino in fondo.
I Cinque Stelle sono una mina vagante e la loro dipendenza dal sistema mediatico ne fa una componente fortemente manipolabile dall’esterno. Conte fa la parte del capitano che ha in mano il timone senza contrasti, perché la sua ciurma è occupata ad azzuffarsi: così dal ponte di comando può sbizzarrirsi ad far credere ora all’una ora all’altra parte di essere a suo favore. Peraltro ci sembra di intuire che i suoi marinai, per continuare con questa metafora, si stiano accorgendo del giochetto e manifestino irritazione e volontà di mettervi fine. Di nuovo si dice che il premier è blindato dall’assenza di alternative e dal fatto che ormai entriamo in periodo estivo in cui c’è poco spazio per manovre politiche (ma dovremmo ricordarci cosa è successo nell’agosto 2019).
Anche in questo caso si sottovaluta che non siamo in tempi normali. I problemi si stanno accumulando senza soluzioni: vedere alla voce riforma del sistema giudiziario, tanto per dire (è non è un tema secondario). C’è da decidere il destino del decreto Rilancio che non si sa come uscirà modificato dal dibattito parlamentare e che è un decreto di imponente spesa in deficit, cosa che incita tutti a chiedere un ampliamento della platea degli interventi e dunque ulteriore deficit.
In un contesto del genere muoversi con partiti costantemente sull’orlo di una crisi di nervi sarebbe un’impresa titanica anche per un leader veramente carismatico e di eccezionale spessore. E Conte non è né l’uno né l’altro.
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