Cari studenti, ha preso finalmente avvio questo vostro strano esame di maturità. Non è mia intenzione fermarmi a commentare le scelte ministeriali, né tantomeno ipotizzare altre possibili modalità con cui avreste potuto affrontare questo importante rito di passaggio. Ci stanno pensando già in molti in questi giorni, anche con toni che non mi convincono; costruiscono poco e finiscono con l’alimentare il noiosissimo vizio della lamentela, sterile e demotivante.
Vorrei solo, a partire dalla mia personale e quindi parziale e non generalizzabile esperienza di scuola, dire a voi e a chi vi sta attorno, che il vostro esame di maturità è iniziato il 9 marzo e che, in questi tempi di lockdown e di didattica a distanza, vi ho apprezzato molto fino a ritenervi tra i soggetti più lucidi e saggi nell’affrontare la sfida che ci si è presentata.
Ho preferito di gran lunga leggere i vostri numerosi scritti piuttosto che quelli di molti giornalisti; peccato che pochi vi abbiano seriamente interpellato e altrettanto seriamente dato la parola. In questi mesi di sospensione della didattica in presenza si è generato una sorta di allontanamento parecchio rischioso. In molti casi si è acuito il distacco che da tempo provate nei confronti di un sapere di cui non riuscite ancora a gustare il sapore, di adulti che vi ascoltano troppo poco e con cui fate fatica a trovare qualche cosa che vi accomuni.
In tanti altri casi avete invece azzardato l’abisso della profondità e della consapevolezza, due voci che non trovano uno specifico posto nelle griglie di valutazione degli esami di maturità.
La distanza vi ha regalato tempi e uno spazi nuovi, poco frequentati prima, nei quali avete avuto modo di conoscere qualche cosa in più di voi stessi e che vi hanno consentito di azzardare una vostra personale interpretazione del mondo ammalato che vi stiamo consegnando: avete pensato e scritto cose che contano, avete avuto nostalgia dei vostri compagni, di noi professori, rimpianto gli abbracci e i tempi della parola scambiata in presenza, quando la scuola è stata quella che dovrebbe essere sempre.
Siete andati anche più a fondo e avete avuto il coraggio di guardare la sofferenza e la morte, la solitudine, la fatica e la cura. Avete chiesto scusa per tanto tempo buttato, ringraziato per i nostri tentativi di starvi accanto, ci avete dato anche ragione. “Mi scuso prof, ha ragione; la ringrazio prof, ricambio il suo abbraccio”. Parole calde scritte, non sottese o volate via, che vi ricorderanno domani che questi sono gli atteggiamenti vincenti per costruire un futuro diverso: la gratitudine, la capacità di chiedere scusa e di riconoscere le proprie responsabilità, l’apprezzamento del lavoro degli altri, il rispetto delle relazioni, la collaborazione, il riconoscimento della vulnerabilità.
Non lo so se noi adulti abbiamo imparato quanto voi. Vi riporto due brevi passaggi delle lettere inviatemi ad aprile da Benedetta e Valentina che bene esprimono il tono dei nostri interessanti dialoghi. In questi giorni anche loro stanno studiando per l’esame di maturità che, secondo me, hanno già superato.
Scrive Benedetta: c’è stato un momento della mia vita in cui mi sono dovuta forzatamente fermare per capire la strada che stavo prendendo, per guardarmi indietro e capire cosa avevo fatto e cosa avrei dovuto fare: ho imparato a dare spazio alle questioni importanti, ho imparato a perdonare, a superare alcune situazioni, a capire gli altri e a provare empatia. […] Molti riflettono riguardo a questa situazione, al prima, al dopo e a quelle cose che si sono sempre accantonate proprio per mancanza di tempo. Sì, perchè siamo tutti stati abituati fin da subito a correre, ad avere sempre impegni, ad andare di fretta.
Scrive Valentina: ciò che stiamo vivendo ha reso evidente la fragilità dell’intero mondo, è vero, ma ha portato a sviluppare in noi la forza e il coraggio per superare il dolore. Il dolore, la morte, la malattia, la sofferenza ci fanno paura, e forse proprio per questo motivo hanno tirato fuori il coraggio che non pensavamo di avere. I medici che continuano a lavorare ogni giorno non hanno paura della malattia, coloro che stanno accanto a chi soffre non hanno paura del dolore e coloro che lottano per la loro vita non hanno paura della morte. […] Mi sono sentita vulnerabile. Mi sono sentita sola ma allo stesso tempo mi sono sentita parte di qualcosa di grande.
Buoni esami, cari studenti, conto su di voi!
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