Alto Adige: l’occupazione ai tempi del coronavirus

Commercio al dettaglio

L’Osservatorio provinciale del mercato del lavoro di Bolzano ha fornito una descrizione di come la crisi sanitaria, e in particolare il periodo del lockdown, ha segnato la situazione occupazionale in Alto Adige, mettendo a confronto i dati dei mesi tra novembre 2019 e aprile 2020 con quelli corrispondenti dell’anno precedente. L’impatto del virus, è stato subito sottolineato, risulta, almeno per ora, “maggiore rispetto alla crisi globale del 2010”. “Siamo passati da un più 2 per cento di crescita occupazionale ad un meno 0,7 a causa delle misure di contenimento sul mercato del lavoro in soli due mesi”, ha spiegato il direttore di Ripartizione Stefan Luther. Se a qualcuno sembrasse poca cosa, “per avere un’idea di quanto ciò significhi, si pensi che durante la crisi economica globale del 2010, il calo è stato solo dello 0,1 per cento ed è stato ripartito in modo più uniforme su tutti i sei mesi”.

Tra novembre 2019 e aprile 2020 si sono registrati in media 20.780 disoccupati, con un incremento di 3.301 (+18,9 per cento) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A causa della crisi del coronavirus, il numero dei disoccupati è dunque in rapido aumento. “Ad aprile 2020, più di 28.254 persone erano registrate come disoccupate, con un incremento di 10.738 (+61,3 per cento) rispetto a un anno prima. Si tratta anche di 6.515 persone in più rispetto al novembre 2019, il mese in cui viene normalmente misurato il picco annuale di disoccupati registrati”.

La pandemia ha inciso in modi diversi nei vari settori economici. Poco, ad esempio, in agricoltura. Un rallentamento si è visto nell’edilizia, mentre l’occupazione nell’industria non cresce più già da un anno. Il lockdown ha colpito di più il commercio al dettaglio rispetto a quello all’ingrosso e pertanto maggiormente le donne. La stagione turistica passata di per sé era stata ottima, ma è finita male. Anche altri servizi privati hanno risentito del lockdown nel turismo. Gli occupati nel settore domestico, se regolari, non hanno avuto conseguenze.

Altre osservazioni riguardano l’occupazione maschile e femminile, i giovani e gli stranieri. Nel periodo indicato il numero di lavoratrici dipendenti ha avuto un calo dell’uno per cento rispetto all’anno precedente, dovuto in particolare all’impatto negativo della pandemia nel settore alberghiero e della ristorazione. Anche il calo di occupazione dei giovani causato dal coronavirus ha colpito essenzialmente nel settore alberghiero e della ristorazione e lo stesso si può dire dei cittadini stranieri.

Il tasso di occupazione o di disoccupazione non è certo l’unico indice significativo relativo al lavoro nel periodo della pandemia e in quello che seguirà. Ci sono settori, come quello pubblico, che ne sono usciti pressoché indenni, nei quali tuttavia il massiccio ricorso al cosiddetto “lavoro agile” è stata la risposta solo apparentemente più opportuna. Dovranno esserne valutate accuratamente le conseguenze non solo sul piano della “produttività”, ma anche su quello delle relazioni interpersonali e della salute mentale. Non si può infatti pensare che “portarsi il lavoro a casa” sia una maniera efficace per favorire un miglior rapporto a lungo termine tra famiglia e lavoro.

Tutta da studiare è infine la questione occupazionale dal punto di vista del cliente. Il lockdown che conseguenze ha avuto – ad ogni livello – su coloro che avrebbero avuto bisogno di un prodotto, di una prestazione, di un servizio e non li hanno avuti?

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