Strimpello in questo tempo sospeso, così come so fare e con una delle mie tante chitarre, le canzoni della mia gioventù, dei tempi delle passioni giovanili e di quello che si chiamava impegno. Non ho nostalgia del passato, ma ognuno passa il tempo in tanti modi e questo è una parte del mio. Mi risuonano attuali le parole di Francesco Guccini: “E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito, quanto tempo è ormai passato e passerà? …Giornate senza senso, come un mare senza vento, come perle di collane di tristezza…”. Le provo ad accompagnare con un arpeggio stentato e provo una brivido di malinconia.
Ora che è tempo di ricominciare a progettare, necessariamente, un futuro, le cose migliori del passato ci appaiono davvero passate: sono finite le canzoni dai balconi, sono state abbandonate le frasi del tipo “vedrai ne usciremo migliori”, si è offuscata la solidarietà verso chi più ha dato, abbiamo perso il senso del dolore condiviso, delle preoccupazioni degli altri fatte proprie, di una solidarietà porta a porta, rimane lontana la tristezza per gli anziani, fratelli maggiori, sacrificati, spesso, dalle risposte inadeguate e carenti di chi doveva vigilare su di loro. Certamente questo non vale per tutti, ma ho una triste sensazione che tutto stia tornando ai tempi peggiori e il 2 giugno ne è stato una piccola dimostrazione. Nonostante lo splendido impegno e le parole commoventi del nostro Capo dello Stato, che ci richiama sempre alle cose migliori, all’unità e alla condivisione, sembra davvero finito il tempo delle cose nuove.
La scuola ha navigato a vista in questo periodo e ne vediamo le conseguenze. Abbiamo lasciato spesso soli i più piccoli, abbiamo relegato i più grandicelli al “fai da te”, con genitori al seguito, abbiamo lasciato ai grandi la gestione del loro conoscere, del loro migliorare, del loro sapere. Anche questa riflessione non vale per tutti: ho visto docenti spendersi con professionalità e fantasia, mantenendo la relazione educativa con i loro studenti, ho visto dirigenti tentare di sopperire alle mancanze di mezzi di molti studenti, contenendo le differenze inevitabili fra chi ha strumenti, disponibilità economica e culturale, condizioni di vita migliori, una casa grande e molte risorse e chi deve rubare i giga necessari alla didattica dall’unico telefonino di casa o chi deve contendere un unico computer, magari obsoleto, alla sorella o al fratello. Ho visto però tanti docenti negarsi ad un contatto necessario con i propri studenti, nascondendosi dietro teorie astruse, che fanno alla pari con il terrapiattismo, in merito all’utilità di trovare forme di dialogo tangibili e sistematiche a distanza. Altri si sono eclissati, fuori controllo, e ricompaiono, miracolosamente, per gli scrutini finali.
Quello che mi preoccupa è che abbiamo assistito, con rabbia e stupore, ad un mutismo istituzionale, interrotto unicamente da coniugazioni verbali imbarazzanti: “provvederemo, stiamo pensando, progetteremo (un tavolo di lavoro), stiamo sentendo (i dirigenti per trovare le soluzioni)”. Insomma “un mondo che verrà” (e chissà quando, dico io) e l’incapacità di esprimere un ragionamento o un pensiero logico, se non arrivare a dire banalità, degne delle peggiori barzellette, alla stregua del 2×1 dell’assessore lombardo Gallera, banalità che non possono essere ascritte a semplici gaffes, ma piuttosto ad evidente incompetenza. Purtroppo questo corrisponde, però, anche alla situazione nazionale. Sono andato a rileggermi i nomi dei Ministri della Pubblica Istruzione degli ultimi cinquant’anni: Misasi, Scalfaro, Malfatti, Pedini, Spadolini, Sarti, Bodrato, Falcucci, Galloni, Bianco, Iervolino, D’Onofrio, Lombardi, Berlinguer, De Mauro, Moratti, Fioroni, Mussi, Gelmini, Profumo, Giannini, Fedeli, Azzolina. Non è un quiz del tipo: “trova l’intruso”. Sono i loro veri nomi. Di certo non ci ricordiamo di tutti e non abbiamo nostalgia di quasi nessuno di loro e il tempo , che come sempre è galantuomo, ha fissato il loro valore. Ci viene certamente più facile e gradevole ricordare la formazione dell’Inter, campione degli anni ’60: Sarti, Burgnich, Facchetti fino a Mario Corso e quante Roubaix ha vinto Francesco Moser.
Eppure nelle dichiarazioni di principio di tutti questi, ministri, assessori e sovrintendenti che siano, la scuola “è centrale, è il motore del nostro Stato repubblicano, è lo snodo vincente per il futuro, necessita di costante rinnovamento, di investimenti straordinari e di riqualificazione al passo coi tempi”.
E in questo, guarda caso, hanno maledettamente ragione.
E mentre si consolidano modalità per l’apertura di bar e ristoranti, chiese ed estetiste, negozi di caccia e pesca, mentre si allargano improbabili piste da sci e si fa pubblicità al Trentino con l’immagine di un lago della Serbia, mentre il Dipartimento chiede indicazioni ai dirigenti scolastici perché “ogni istituto studi una proposta organizzativa tenendo conto di 3 metri quadrati per ogni studente, un orario compreso tra 24 e 26 ore settimanali per la primaria e 30 per le medie, da strutturare dal lunedì al sabato” e magari un numero vincente al Lotto o un “Gratta e vinci” che assicuri un bel premio, perché non pensare invece alla scuola come un “laboratorio di responsabilità”? Un luogo dove al centro di tutto ci siano bambine e bambini, studenti e studentesse con i loro bisogni reali e attuali, dove far crescere veramente una cultura dell’autonomia e dell’autocontrollo, dove sfrondare i programmi per lasciar spazio agli snodi fondamentali del sapere, dove rivalutare le competenze professionali di molti docenti? Un luogo dove ascoltare le proposte che molti potrebbero avanzare nello specifico del loro territorio e della loro realtà, con gli aspetti amministrativi sburocratizzati e resi snelli e possibili, con una vera rappresentatività delle famiglie, dove cogliere il meglio di tutti? E ancora un luogo dove tutto il personale sia realmente responsabile e coinvolto in un cammino di rinnovamento, dove l’edilizia non sia solo una manovra elettorale o di valle e abbia il valore pregnante di una didattica degli spazi, dove la formazione e l’aggiornamento siano significativi e non lasciati in mano ai soliti dinosauri ben pagati?
Un laboratorio di responsabilità e di corresponsabilità, che abbia le caratteristiche della rapidità del fare, della volontà del risultato, della valorizzazione delle risorse umane che già esistono e che non vengono spesso ricercate, dove anche la scuola paritaria abbia una visione in linea con il fondamento ideale del suo essere ed esistere.
Un laboratorio che non si può fare a costo zero e nel quale devono essere investite risorse concrete e immediate, creatività e competenza. Adesso e non domani.
Ne va del nostro futuro, della nostra felicità e della nostra storia.
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