È stata una manifestazione d’affetto corale e spontanea quella di tante persone che si sono accorte di “aver adottato” Renzo Tait come un fratello, come un amico, come una persona di casa, soprattutto da quando, all’arrivo dell’autunno, si era diffusa la voce della sua malattia e la sua figura, sempre presente, era venuta meno in chiesa e nell’ufficio parrocchiale.
Martedì 7 gennaio ai funerali a Mezzocorona, si poteva toccare con mano come il bene fatto, con la discrezione e il piglio di un attento e generoso volontario, è stato coralmente riconosciuto, perché arrivava al cuore e toccava le persone, facendole sentire parte di una bella e grande famiglia quale talvolta sa essere anche una borgata, ma in modo del tutto particolare una parrocchia.
Renzo ha speso l’ultimo terzo della sua vita di settantaseienne in un servizio laborioso e discreto alla parrocchia, esercitando la funzione di sacrestano, ma anche di addetto all’ufficio parrocchiale e, per certi aspetti, di “tuttofare” facendosi trovare sempre pronto come supporto delle diverse attività e iniziative dell’oratorio e delle richieste di “stampatore” per le catechiste.
Dopo essere stato destinato come parroco di Mezzocorona nell’estate del 2004 venni a dare un’occhiata alla canonica per predisporre una sistemazione. In quella occasione fu lui – che pochi mesi prima aveva avuto l’amara sorpresa di trovare morto in canonica il mio predecessore don Valentino Loner – ad accogliermi per darmi tutte le spiegazioni del caso. Fu con l’arrivo in parrocchia di don Valentino nel 2000 che Renzo assunse in pieno quel servizio di sacrestano che aveva già avuto modo di “assaggiare” come coadiuvante dell’indimenticabile Francesco Ferrarol e di altri volontari che si prestavano per quel servizio.
Da alcuni anni egli aveva perso papà Bruno; quando morì anche mamma Fulvia il suo ambiente di vita e di servizio divennero la canonica, l’oratorio, la chiesa parrocchiale, prendendosi a carico molte delle diverse incombenze di una parrocchia attiva e ben organizzata, cooperando con altri volontari che si prestavano in vari servizi.
Commentando la Parola di Dio alla Messa di esequie mi è parso opportuno accennare alla difficoltà da lui provata quando ebbe notizia del male che lo insidiava: era speranzoso nell’affrontare la malattia per non lasciarsi sconfiggere, ma anche sconfortato nel rendersi conto che, col passare dei mesi, la situazione andava di giorno in giorno peggiorando. Il Libro delle Lamentazioni, che dà voce allo sconforto fino a parlare di “assenzio e veleno” che opprime la vita e fa dimenticare il benessere, apre il cuore alla fiducia in Dio “le cui grazie non sono finite e le cui misericordie non sono esaurite”.
Tutti quelli che incontravo negli ultimi mesi dell’anno si interessavano di lui; molte persone lo andavano anche a trovare finché, vinto dal male, decise di “aspettare in silenzio la salvezza del Signore”. Due giorni prima della morte, avvenuta alla vigilia della solennità dell’Epifania, mentre gli conferivo il sacramento dell’unzione degli infermi egli cercava di stringermi debolmente la mano in cenno di assenso. Ma la sua anima era ormai rivolta al Signore come quella delle sentinelle in attesa dell’aurora, che le libera da un faticoso servizio.
Il suo stile nell’esercizio del volontariato era debitore dello spirito delle beatitudini evangeliche senza che lui neppure se lo proponesse, tanto gli era congeniale. Un volontariato, il suo, svolto nella massima semplicità e discrezione, senza il bisogno di una divisa, di un’associazione, di un inquadramento, perché per svolgere certi compiti basta lo spirito di generosa disponibilità nello prospettiva delle beatitudini.
Renzo ha vissuto il suo volontariato come “povero di spirito”, mostrando un cuore semplice, senza complicazioni nei rapporti umani. Ha saputo “piangere con chi piange”, condividendo difficoltà e preoccupazioni degli altri. È stato un “mite di cuore”, perché non ha cercato incarichi di prestigio, vivendo il servizio con amore. Ha avuto “fame e sete di giustizia”, perché era lontano da assurde pretese di supremazia, misurando il suo impegno non su interessi personali, ma sul bisogno degli altri. Ha avuto un cuore “misericordioso”, facendosi prossimo di chi aveva bisogno, con tatto e disponibilità. È stato “un puro di cuore”, perché era persona senza malizia, schietta nei rapporti come nei pensieri. Visse come “operatore di pace”, evitando le contese, superando le diversità, amando la convivialità delle differenze. Anche Renzo, come chiunque vive un autentico spirito di volontariato ispirato alle beatitudini, si sarà trovato ad “essere perseguitato per la giustizia”, dovendo sopportare qualche giudizio ingeneroso e malevolo di chi si fa bello screditando gli altri.
Non so se in paradiso troverà boschi per cercare funghi: era la sua ben nota passione tanto che, quando in estate e autunno non appariva in canonica alle otto del mattino era facile sospettare che avesse fiutato odore di funghi. Era il suo modo di “fare ferie”.
Ambiva decidere quale servizio dovevano svolgere alle celebrazioni chierichette e chierichetti: lo hanno ricompensato con una presenza – erano in 25, una “scorta d’onore” – che non si mai vista neppure per i funerali di un sacerdote o di qualche persona pubblica. Era lui che veniva a prenderli al cimitero al termine di un funerale; toccava poi a lui, ritornati in sacrestia, distribuire loro la “mancia” per il “servizio straordinario”.
Alla Messa di esequie i cori parrocchiali lo hanno salutato “cantando con lui e per lui”, mentre i “Fisarmonici di Mezzocorona”, di cui aveva fatto parte fin dall’origine come “socio fondatore”, gli hanno dedicato un pezzo struggente di malinconia.
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