“Vedi, in questi giorni mi viene continuamente in mente l’immagine di una grande nave sbattuta da onde sempre più forti. Una nave dove ogni membro dell’equipaggio tiene botta, fa il suo turno, anche ben oltre l’orario. Non molla, perché ognuno fa il suo servizio importante, dall’addetto alle pulizie ai primari, dal portinaio alle Oss”.
E’ l’immagine non retorica che aiuta don Giuseppe Depetris a raccontare quanto da due settimane vede ogni giorno nei reparti dell’ospedale civile Santa Maria del Carmine di Rovereto dove da tre anni presta servizio, in tandem dallo scorso anno con don Walter Sommavilla.
Da sacerdoti, colpiti in questi giorni anche dalla perdita di alcuni confratelli a causa del coronavirus (il parroco fassano don Luigi Trottner e il cappuccino padre Angelico Dell’Amico), vivono il loro ministero in prima linea con mascherina e guanti, d’intesa con l’Arcivescovo e i dirigenti ospedalieri: “Ci chiedono di proseguire e ben volentieri restiamo con le precauzioni necessarie: non possiamo entrare e non entreremo negli ambienti riservati ai degenti per coronavirus, ma ci sono tutti gli altri reparti dove si continua a vivere e a sperare, dove si chiede di essere accompagnati ad affrontare i disagi (gli spostamenti di letto, gli esami che slittano) e anche l’isolamento: i pazienti ci cercano, ci chiamano, chiedono di fare da ponte con i familiari. I parenti con cui era nato un rapporto di conoscenza, ci raccomandano di esserci lì, anche solo a tenere la mano”.
Mantiene speranza e lucidità, don Giuseppe anche quando descrive l’ondata del coronavirus: “Quanto era stato previsto in base al contagio in altre città, si sta puntualmente avverando. E di giorno in giorno l’emergenza ha modificato e stravolto il volto dell’ospedale in modo molto veloce”. Revisione dei reparti, rinvio di alcune prestazioni non urgenti, arrivo di personale aggiuntivo: “E tanti nuovi protocolli da rispettare con coscienza, perché un errore potrebbe ritorcersi anche contro di te”.
Medici e infermieri, ma anche tutto il personale più esposto, non si sentono eroi. “Stando qui dentro si capisce quanto stiano facendo di grande. Vedo nella loro dedizione una Provvidenza che si fa sentire. Non dobbiamo smettere di incoraggiarli con riconoscenza e di pregare per loro, per il loro logorio anche psicologica – dice don Giuseppe, che osserva: mai come in questi giorni – ravvisa don Depetris – ci fermano per fare due parole con noi, dal giovane infermiere al medico più esperto. E aprono il cuore. È qualcosa di più grande di noi, questa situazione, dicono. Esprimono i loro timori, ma anche la loro determinazione. Ci vedo quel prendersi cura degli altri che il Samaritano indica nella parabola. Esercitano la virtù di cui sentiamo grande bisogno ora, l’avere compassione, partecipare alla fatica”.
Don Giuseppe, come don Walter, si è trovato in queste settimane a intensificare ma anche a approfondire con la ricarica della preghiera il suo essere prete, così come dicono tanti parroci interpellati dall’esigenza di stare da “dentro il gregge” in modo nuovo, accettando di non poter celebrare la Messa con altre persone presenti e di non poter stringere una mano ai contagiati in fase acuta o di accompagnare un funerale. “Queste sono privazioni che pesano davvero, ma dobbiamo rispettare le regole, unico modo per superare presto l’emergenza”.
Anche per un cappellano esperto come don Giuseppe i prossimi giorni si annunciano pesanti, ma la speranza cristiana lo aiuta a infondere fiducia: “Come dice l’Arcivescovo dobbiamo insistere sul valore della preghiera, non dobbiamo dimenticarci di pregare. Ci sentiamo anche uniti fra noi, qui nella comunità dell’ospedale ma anche nella diocesi”.
Prima che il colloquio finisca e don Depretis torni in corsia, c’è il tempo per una confidenza. “Sette anni fa avevamo cominciato part time all’ospedale di Tione, bellissima esperienza. Ma qui a Rovereto mi trovo altrettanto bene e ringrazio il Signore di poter dare una mano in queste giornate. Ci ricordiamo nella preghiera. E buon lavoro a voi che fate il servizio del giornale da casa”.
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